Bruxelles – La possibilità di un transizione breve per uscire dall’UE rischia di ridursi. La Commissione europea dà ancora tempo al Regno Unito per ragionare all’accordo di ritiro, però avverte: “Se arriverà un’approvazione del Parlamento britannico entro il 12 aprile allora l’Unione europea dovrà approvare una proroga fino 22 maggio, altrimenti nessuna proroga breve sarà possibile”. Il presidente dell’esecutivo comunitario, Jean-Claude Juncker, invita non solo l’interlocutore britannico, ma pure il Parlamento europeo, a prepararsi a due scenari: transizione lunga o nessuna transizione.
“Noi siamo aperti a molte possibilità di intesa sul futuro, e siamo pronti a negoziarle da subito”, a patto che Londra approvi subito e “con un maggioranza chiara” l’accordo trovato ma già bocciato tre volte (a metà gennaio, il 12 marzo e il 29 marzo), dice Juncker nel corso del dibattito d’Aula al Parlamento europeo. Il lussemburghese è tuttavia consapevole che col passare del tempo si riducono le chance che il Parlamento britannico si ravveda. “Ho paura che lo scenario di mancato accordo sia sempre più probabile”. E allora forse meglio evitare corse contro il tempo e lasciare aperta la strada ad una transizione più lunga. Che vorrebbe dire più tempo e maggiori possibilità di garantire un’uscita ordinata di Londra, ma vorrebbe dire anche incertezza, a cominciare da quella legata alle elezioni europee del prossimo 23-26 maggio.
“Lavorerò fino all’ultimo momento per evitare una situazione di non accordo – ha detto con passione Juncker, mostrandosi più vicino alle posizioni di Angela Merker che a quelle di Emmanuel Macron -. L’Unione europea non caccerà nessuno Stato membro, farò personalmente tutto il possibile per prevenire una Brexit disordinata e mi aspetto che i leader politici in tutta l’UE a 27 e nel Regno Unito facciano lo stesso”.
Il capogruppo dei liberali (ALDE), Guy Verhofstad le incertezze di un transizione non le vuole. “Il fatto che dovremmo creare una situazione per cui il Regno Unito ha un piede dentro l’UE e l’altro piede fuori dall’UE è una tragedia, sarebbe un disastro per l’Unione europea” e proprio per questo “non è la via da seguire”. Per il liberale, tra i candidati del suo partito alla guida della prossima Commissione europea, “non possiamo rischiare di dare le chiavi del futuro dell’UE a un Boris Johnson o a Michael Gove, gli architetti di questo disastro della Brexit. Una lunga estensione farebbe esattamente questo”.
In Commissione però sono sempre più convinti che un accordo servirà, perché al di là delle misure di emergenza adottate a titolo unilaterale delle ripercussioni ci saranno. Sempre oggi il commissario per gli Affari economici e le politiche doganali, Pierre Moscovici, ne ha ricordate alcune. Lo scatto immediato di controlli alle frontiere per le merci in caso di mancato accordo, l’obbligo di pagamento dell’iva a carico dell’esportatore. In pratica “ripercussioni per migliaia di imprese” e per il mercato unico. “Sappiamo inoltre che ci sarà un impatto economico-finanziario per l’Europa a 27”, ricorda, senza offrire cifre, al momento più che altro stimate.
Juncker attende altri dieci giorni. Dieci giorni nei quali Londra può decidere le sorti di un negoziato i cui destini sono tutti nelle mani di un sempre più confuso e diviso partito conservatore. E non solo quello. “Tempi difficili richiedono scelte difficili, ma purtroppo Jeremy Corbyn è stato il problema e non la soluzione”, ammette in Aula la laburista Jacqueline Foster, in aperta critica con il segretario del suo partito. Chiede più tempo, Foster. E lo stesso fa Seb Dance, altro laburista in Parlamento europeo. Il collega di gruppo Roberto Gualtieri (PD) si schiera con loro. “un’estensione più lunga non può e non deve essere esclusa”.
Sembra essere questa la rotta tracciata, anche dopo l’aut-aut di Juncker. Che però chiarisce: il 12 aprile è l’ultimo giorno utile per approvare l’accordo di ritiro e avere una proroga breve di permanenza dell’UE (scaduta il 29 marzo e già estesa), e poi “qualunque cosa succede il Regno Unito dovrà comunque risolvere le tre questioni principali”, vale a dire diritti dei cittadini, impegni finanziari e questione irlandese.