Bruxelles – Si temevano sorprese dell’ultima ora nonostante l’accordo inter-istituzionale, ma colpi di scena non ce ne sono stati. Il voto con cui il Parlamento approva la riforma del copyright conferma però la spaccatura dell’Aula su un tema rimasto fonte di divisione fino all’ultimo. Il via libera al riconoscimento del diritto d’autore sul web e al suo obbligo di pagamento è arrivato con 348 voti favorevoli e 274 contrari, e 36 astenuti. C’è una maggioranza, dunque. Ma il fronte dei critici e degli incerti non è così piccolo.
La proposta di direttiva ha visto lo scontro tra il partito dell’estensione al mondo digitale delle regole sui diritti d’autore e il movimento che rivendica la libertà totale di internet. Fazioni fuori dalle logiche politiche tradizionali. Così ecco i socialdemocratici Brando Benifei e Renata Briano (PD/S&D) votare assieme agli europarlamentari di Lega e Movimento 5 Stelle contro le proposte di modifica.
Copyright anche su internet, ‘pagano’ i giganti del web
La principale novità è che da oggi in poi il diritto d’autore viene riconosciuto su internet. Vuol dire che pubblicare articoli in rete comporterà un pagamento, rimesso alle negoziazione tra le parti. Non si vieta ad aggregatori di notizie come Google News di continuare ad avere collegamenti ipertestuali ad articoli di notizie, ma questi dovranno essere accompagnati da “singole parole o estratti molto brevi”. Altrimenti non si potrà condividerle. Oltretutto aggregatori ed editori dovranno pattuire pagamenti per gli articoli nelle forme che più ritengono mutualmente vantaggiose, con l’Ue che indica che parte di questi introiti dovranno essere dati ai giornalisti.
“I giornalisti devono ottenere una quota delle entrate legate al diritto d’autore ottenute dal loro editore”, dicono le nuove regole. Anche in questo caso il pagamento eventuale è rimesso agli accordi tra le parti, tutti da trovare.
Il principio del diritto d’autore vale per musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori, che dovranno essere pagati per la pubblicazione delle loro opere su canali di pubblica visione e condivisione quali YouTube o Facebook.
A proposito di YouTube e Facebook, una delle principali novità introdotta dalla riforma delle direttiva è che non saranno gli utenti i responsabili di eventuali violazioni del diritto d’autore. Saranno le piattaforme online a rispondere dei contenuti che gli utenti caricano sul web. Google news, Youtube e Facebook, quindi.
Enciclopedie non toccate
Le foto, anch’esse soggette a diritto d’autore, dovranno essere pagate. Ma potranno essere utilizzate gratuitamente per i ‘meme’, le immagini con didascalie umoristiche. Restano senza vincoli le enciclopedie on-line e gli archivi scientifici, la cui fruizione rimane invariata nonostante Wikipedia abbia fatto intendere il contrario in questi giorni.
Esultano i riformatori
“Questo accordo è un passo importante per correggere una situazione che ha permesso a poche aziende di guadagnare ingenti somme di denaro senza remunerare adeguatamente le migliaia di creativi e giornalisti da cui dipendono”, dice il relatore del testo, il tedesco Axel Voss (PPE).
Soddisfatto anche il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani. “Il Parlamento ha scelto di mettere fine all’attuale far-west digitale, stabilendo regole moderne e al passo con lo sviluppo delle tecnologie”. Da una parte, sostiene si difendono le industrie culturali e creative dell’UE, “da cui dipendono il 9% del PIL e 12 milioni di posti di lavoro”, e dall’altra parte, allo stesso tempo, si pone fine ad una pratica per cui “i giganti del web hanno potuto beneficiare dei contenuti creati in Europa pagando tasse irrisorie, trasferendo ingenti guadagni negli Stati Uniti o in Cina”.
I 5 Stelle: è bavaglio
Dura l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle, Isabella Adinolfi. Le nuove norme “rischiano di mettere un bavaglio alla rete e imbrigliare la libertà di espressione su Internet”. L’europarlamentare contesta in particolare che “il Parlamento europeo si chiude a riccio e volta le spalle a 5 milioni di cittadini che avevano firmato una petizione e chiesto cambiamenti alla direttiva copyright”.