Bruxelles – Nelle procedure di selezione del personale delle istituzioni dell’Unione, le disparità di trattamento fondate sulla lingua non sono, in linea di principio, ammesse.
Una disparità di trattamento di questo genere è ammissibile solo se risponda a reali esigenze del servizio, sia proporzionata a tali esigenze e sia motivata alla luce di criteri chiari, oggettivi e prevedibili. Lo ha stabilito oggi la Corte di Giustizia dell’Unione europea dando ragione a Italia e Spagna in due diversi ricorsi di Parlamento e Commissione contro sentenze del Tribunale UE che già aveva condannato le due istituzioni.
Nella causa C 377/16, la Spagna ha chiesto alla Corte di giustizia di annullare, per discriminazione linguistica, l’invito alla presentazione di candidature pubblicato dal Parlamento europeo nel 2016 ai fini della costituzione di una base di dati di candidati per lo svolgimento di mansioni di autista. Il modulo di iscrizione era disponibile soltanto nelle lingue inglese, francese e tedesca. I candidati dovevano possedere, oltre ad una conoscenza approfondita di una delle 24 lingue ufficiali dell’Unione come “lingua 1” della procedura di selezione, anche una conoscenza soddisfacente dell’inglese, del francese o del tedesco come “lingua 2”. Il Parlamento motivò la limitazione della scelta della “lingua 2” con “l’interesse del servizio, secondo cui il personale neoassunto deve essere immediatamente operativo e capace di comunicare in modo efficace nel lavoro quotidiano”.
Nella causa C 621/16 P, la Commissione ha presentato dinanzi alla Corte un’impugnazione intesa ad ottenere l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea mediante la quale quest’ultimo, a seguito di ricorsi proposti dall’Italia, aveva annullato due bandi di concorso generale dell’Ufficio europeo di selezione del personale (EPSO) a motivo dell’illegittimità della limitazione della scelta della “lingua 2” del concorso all’inglese, al francese e al tedesco, nonché in ragione della limitazione a queste tre lingue della scelta della lingua di comunicazione tra i candidati e l’EPSO.
Con le sentenze di oggi, la Corte, nella causa C 377/16, annulla l’invito a manifestazione di interesse, nonché la base di dati costituita in virtù di tale invito, e, nella causa C 621/16 P, quella promossa dall’Italia nel 2017, respinge l’impugnazione della Commissione.
La Corte ricorda che lo Statuto dei funzionari vieta qualsiasi discriminazione, comprese quelle fondate sulla lingua, fermo restando che delle differenze di trattamento fondate sulla lingua possono essere autorizzate qualora siano giustificate da un obiettivo legittimo di interesse generale, come l’interesse del servizio, o persino le reali esigenze relative alle funzioni che le persone assunte saranno chiamate ad esercitare (ad esempio, per un interprete). A questo proposito, la Corte sottolinea che, in una procedura di selezione, le istituzioni dispongono di un ampio margine di discrezionalità per valutare le qualifiche e i meriti dei candidati da prendere in considerazione. Tuttavia, esse sono tenute non soltanto ad assicurare che qualsiasi disparità di trattamento fondata sulla lingua sia idonea a rispondere all’interesse del servizio e proporzionata rispetto a quest’ultimo, ma anche a motivare la disparità sulla scorta di “criteri chiari, oggettivi e prevedibili”, che permettano ai candidati di comprenderne le ragioni e ai giudici dell’Unione di verificarne la legittimità.
Per quanto riguarda la causa C 377/16, la Corte osserva che, in mancanza di qualsiasi indicazione riguardo al fatto che il modulo d’iscrizione, disponibile unicamente in inglese, francese e tedesco, poteva essere compilato in una qualsiasi delle lingue ufficiali dell’Unione, i candidati hanno ragionevolmente potuto supporre che il modulo dovesse obbligatoriamente essere compilato in una di queste tre lingue. Da ciò consegue una disparità di trattamento fondata sulla lingua, in linea di principio vietata. Il Parlamento non ha dimostrato l’esistenza di un obiettivo legittimo di interesse generale che giustificasse una disparità di trattamento.
La Corte rileva poi che anche la limitazione della scelta della “lingua 2” alle sole lingue inglese, francese e tedesca costituisce una disparità di trattamento fondata sulla lingua, in linea di principio vietata. L’invito a presentare candidature pubblicato dal Parlamento non giustifica una limitazione in rapporto alle concrete esigenze linguistiche relative alle mansioni che gli autisti assunti saranno chiamati ad esercitare. La Corte osserva che né la circostanza che gli autisti debbano svolgere le loro mansioni in città francofone o germanofone, né il fatto che le persone trasportate utilizzino perlopiù la lingua inglese, sono idonei a giustificare la limitazione della scelta della “lingua 2” alle sole lingue inglese, francese e tedesca. E il Parlamento non ha dimostrato in che modo ciascuna di queste lingue presenterebbe un’utilità particolare per l’esercizio delle mansioni di autista e per quale ragione quella scelta non potrebbe cadere su altre lingue ufficiali potenzialmente pertinenti per tali mansioni. Inoltre, secondo i giudici, spiegano alla Corte, “laddove il Parlamento non abbia adottato regole interne in merito al proprio regime linguistico, non si può affermare che queste tre lingue siano necessariamente le lingue più utili per tutte le funzioni da svolgere presso tale istituzione”.
Per quanto riguarda la causa promossa dall’Italia, la Corte constata, anzitutto, che un bando di concorso definisce la cornice normativa di uno specifico concorso. Ciascun bando di concorso produce dunque autonomi effetti giuridici vincolanti ed è di conseguenza suscettibile di formare l’oggetto autonomo di un ricorso. Pertanto, giustamente il Tribunale ha giudicato ricevibili i ricorsi proposti dall’Italia.
La Corte rileva poi che il Tribunale ha correttamente statuito che le più alte qualità di competenza, efficienza e integrità di un candidato sono indipendenti dalle conoscenze linguistiche, dato che quest’ultime sono il mezzo per dimostrare le prime. Di conseguenza, il Tribunale non ha commesso un errore ritenendo che l’obiettivo di assumere funzionari in possesso di queste alte qualità non giustificasse una disparità di trattamento fondata sulla lingua.
La Corte osserva, inoltre, che giustamente il Tribunale ha esaminato la questione se vi fossero “indicazioni concrete” atte a dimostrare, in modo oggettivo, l’esistenza di un interesse del servizio che giustificava la limitazione della scelta della “lingua 2” del concorso. La Corte sottolinea poi che il Tribunale non ha sostituito la propria valutazione a quella dell’EPSO, bensì si è giustamente limitato a controllare la fondatezza delle giustificazioni fornite da tale ufficio in merito alla limitazione della scelta della “lingua 2” del concorso.
Infine, la Corte rileva che, sebbene i bandi di concorso debbano essere pubblicati integralmente nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, l’EPSO non è obbligato, nell’ambito di un concorso, a comunicare con un candidato in una lingua liberamente scelta da quest’ultimo. Tuttavia, la limitazione della scelta della lingua di comunicazione tra i candidati e l’EPSO ad un numero ristretto di lingue ufficiali indicate da quest’ultimo “deve essere giustificata”, ma, nella specie, nessuna giustificazione è stata fornita dall’EPSO.