Roma – 18 articoli per prepararsi al peggio. Il cosiddetto “decreto Brexit” è da oggi in vigore, anche se le norme valgono solo in caso di uscita senza accordo, regola i futuri rapporti tra Italia e Regno Unito in una fase transitoria. Limitare i danni è la parola d’ordine e non per caso tutta la prima parte del provvedimento è dedicata a “garantire la stabilità e integrità del sistema finanziario”, ovvero regolare l’attività degli operatori britannici presenti in Italia e quelli italiani attivi in Gran Bretagna. In sostanza punta a ricreare, in modo unilaterale, lo scenario dell’uscita morbida previsto dalle indicazioni della bozza di Bruxelles e finora non approvate da Londra.
Si comincia così dalle banche targate UK che nel nostro Paese sono una settantina, a cui è garantito un periodo di operatività transitorio di 18 mesi dall’hard exit. Per quelle che vorranno aderire al sistema italiano di tutela dei depositi, potranno farlo entro tre mesi. Il decreto riguarda la serie completa degli operatori oltre alle banche come le assicurazioni e i fondi pensione britannici. Naturalmente il regime di proroga dovrà essere notificato alle autorità italiane, Banca d’Italia, CONSOB e IVASS e comunicato ai correntisti.
I dubbi sull’efficacia del decreto vengono a galla sulla vigilanza, finora garantita dal cappello delle autorità europee (BCE, ESMA, EIOPA) e indirettamente di quelle italiane. L’uscita senza accordo significa nella sostanza un “tana libera tutti”, e non sarà un decreto approvato unilateralmente a evitare i rischi. In sostanza, pur prevedendo che i soggetti possano continuare a operare “in conformità alle disposizioni in materia bancaria e finanziaria loro applicabili al giorno antecedente alla data di recesso”, l’operatività dei controlli si presenta molto complicata. In condizioni di reciprocità dovrebbero continuare a operare anche i soggetti italiani in attività nella City, “nel rispetto delle disposizioni stabilite dal Regno Unito”, norme che però, allo stato, non conosciamo né noi né loro. E’ questa la sintesi migliore dell’intreccio d’incertezza in cui la Brexit ci fa cascare: nulla è noto nel momento in cui saltano le regole di un mercato come quello finanziario, probabilmente il più globalizzato di tutti.
Il decreto dedica alcuni articoli anche alla tutela dei cittadini del Regno Unito e loro familiari che risiedono in territorio italiano. I britannici, che vivono da almeno cinque anni nel nostro Paese, potranno chiedere il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, valido fino al 1 gennaio 2021. Previste garanzie anche in materia sanitaria e sicurezza sociale con la proroga in regime transitorio fino alla fine del 2020, della validità della carta sanitaria europea. E gli italiani che vivono nel Regno Unito? Finora le autorità britanniche hanno annunciato di voler garantire reciprocità di trattamento ma le disposizioni non sono ancora note. Il decreto prevede tuttavia il potenziamento dei servizi consolari in UK, stanziando circa 6 milioni di euro l’anno per manutenzione, ristrutturazione e acquisto di immobili, per finanziare nuove attrezzature e per l’aumento di personale delle sedi diplomatiche.