“Le conclusioni del Consiglio europeo sul clima sono assolutamente insufficienti”. Il giudizio, “tranchant”, lo ha dato il presidente francese Emmanuel Macron, durante la sua conferenza stampa al termine del vertice Ue di Bruxelles di giovedì e venerdì scorsi.
In effetti, le conclusioni contengono una conferma degli impegni già presi dall’Ue e dagli Stati membri nell’ambito dell’Accordo di Parigi del dicembre 2015, e il riconoscimento della necessità di aumentare l’ambizione delle misure contro il riscaldamento globale. Il Consiglio europeo, si legge, “ribadisce il proprio impegno nei confronti dell’accordo di Parigi e riconosce la necessità di intensificare gli sforzi globali per affrontare i cambiamenti climatici, alla luce delle ultime valutazioni scientifiche disponibili”, relative all’impatto che avrebbe “un riscaldamento globale di 1,5 gradi centigradi oltre il livello dell’era pre-industriale”.
Ma queste sono parole. Nei fatti, il vertice Ue non è riuscito a mettere tutti i leader d’accordo sul sostegno alla strategia di lungo termine proposta recentemente dalla Commissione europea, che prevede di raggiungere la cosiddetta “decarbonizzazione” (“carbon neutrality”) per tutta l’Ue entro il 2050: ovvero un’economia in cui le emissioni climalteranti residue, dopo le riduzioni massicce programmate negli anni precedenti, saranno pienamente compensate e quindi “neutralizzate” da bacini di assorbimento (“carbon sink”), foreste e parchi urbani.
Su questo punto, nelle conclusioni il Consiglio europeo si limita a “sottolineare l’importanza per l’Ue di presentare entro il 2020 una strategia ambiziosa di lungo termine, che punti alla ‘neutralità climatica’ in linea con l’Accordo di Parigi”, ma, si avverte, “prendendo in conto le specificità degli Stati membri e la competitività dell’industria europea”.
Dunque, non solo l’obiettivo del 2050 non viene neanche menzionato, ma lo si subordina chiaramente alla “competitività industriale” e a quell’oscura “specificità degli Stati membri”, che nasconde in realtà la prerogativa sovrana di ciascun paese di scegliere il proprio “mix” energetico, e dunque, in certi casi, di preservare il ruolo del carbone e delle fonti fossili più inquinanti nell’economia.
Le conclusioni del Consiglio europeo, già note e non modificate rispetto alla bozza, sono in realtà il frutto di un compromesso nello scontro fra due gruppi di paesi, che è emerso chiaramente dai documenti preparatori del vertice contenenti gli emendamenti proposti dai diversi Stati membri.
Francia, Spagna, Olanda, Portogallo, Lussemburgo, Finlandia, Svezia e Danimarca avevano espresso chiaramente il loro sostegno alla strategia della Commissione per il 2050, in linea con l’Accordo di Parigi. Germania, Polonia, Ungheria e Repubblica ceca si erano invece espresse contro la strategia per il 2050 e il richiamo all’obiettivo di Parigi del limite del riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi. Dai documenti preparatori non emerge chiaramente la posizione dell’Italia, e il premier Giuseppe Conte non ne ha parlato al termine del vertice.
Alla fine, nelle conclusioni è rimasto il richiamo all’Accordo di Parigi, ma dell’obiettivo del 2050 non c’è traccia, a parte quel generico richiamo “a presentare entro il 2020 una strategia ambiziosa di lungo termine che punti alla ‘neutralità climatica'”.