Bruxelles – Ci sono in Italia 44 discariche (alcune nel frattempo chiuse, altre sanate in ritardo) che da decenni non sono in regola. I vari governi sono stati messi in mora dalla Commissione europea, ma nulla è stato fatto, dunque oggi la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha emesso una sentenza di condanna per l’Italia.
La storia inizia nel 2012, quando la Commissione ha inviato una lettera di diffida all’Italia, contestandole la presenza nel suo territorio di 102 discariche operanti in violazione della direttiva 1999/31 relativa alle discariche di rifiuti [1]. La direttiva mira a prevenire, o a ridurre per quanto possibile, gli effetti negativi per l’ambiente o per la salute umana dell’interramento di rifiuti, introducendo severi requisiti tecnici. Gli Stati membri dovevano, non più tardi del 16 luglio 2009, rendere conformi ai requisiti fissati dalla direttiva [2] le discariche preesistenti (ossia quelle che, prima del 16 luglio 2001, erano già state autorizzate o erano già funzionanti) oppure chiuderle.
Dopo uno scambio di corrispondenza la Commissione ha accordato all’Italia un termine per rispondere fino al 19 ottobre 2015, precisando che la procedura in questione riguarda i cosiddetti “obblighi di completamento”, ossia gli obblighi di eseguire i provvedimenti che lo Stato membro ha già adottato per una determinata discarica. Questi obblighi consistono, a seconda della discarica interessata, o nel porre in essere tutte le misure necessarie alla chiusura definitiva oppure, ove la discarica sia stata autorizzata a continuare a funzionare [3], nell’adozione delle misure necessarie a renderla conforme alla direttiva.
Nel 2017, alla luce delle risposte fornite dall’Italia, la Commissione ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso per inadempimento in quanto l’Italia non aveva ancora reso conformi alla direttiva 44 discariche o proceduto alla loro chiusura.
Nella sua sentenza, la Corte constata che l’Italia non ha adempiuto agli obblighi risultanti dalla direttiva relativamente alle 44 discariche.
A livello dei principii, la Corte ricorda che l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito dalla Commissione, e che uno Stato membro non può invocare situazioni del proprio ordinamento interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini risultanti dal diritto dell’Unione.
Nella fattispecie, la Corte constata che il termine per l’adempimento degli obblighi è stato fissato dalla Commissione al 19 ottobre 2015. A tale data, l’Italia non aveva adottato i provvedimenti necessari per rendere conformi alla direttiva le 44 discariche considerate, venendo quindi meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù della direttiva 1999/31.
In particolare, la Corte rileva, in primo luogo, che le parti concordano quanto al fatto che 31 discariche [4] non erano state chiuse alla data del 19 ottobre 2015 e non erano ancora conformi alla direttiva alla data di proposizione del ricorso della Commissione. In secondo luogo, la Corte osserva che è stato confermato dalle parti che, per quanto riguarda altre 7 discariche [5], i lavori per renderle conformi alla direttiva sono stati completati nel corso del 2017 e del 2018, vale a dire dopo il 19 ottobre 2015. In terzo luogo, par quanto concerne le restanti 6 discariche [6] la Corte ritiene che l’Italia non abbia messo la Commissione in condizione di prendere conoscenza dei documenti attestanti che tali discariche erano state rese conformi alla direttiva e che, anche ammettendo l’esistenza di tale messa in conformità, quest’ultima era comunque avvenuta dopo il 19 ottobre 2015.
[1] Direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, (GU 1999, L 182, pag. 1).
[2] Fatti salvi i requisiti di cui all’allegato I, punto 1, della direttiva, riguardanti l’ubicazione delle discariche.
[3] La sentenza della Corte del 2 dicembre 2014, Commissione/Italia (causa C-196/13), riguardava invece l’obbligo delle autorità competenti di adottare, per talune discariche, una decisione avente ad oggetto o l’autorizzazione a che la discariche continuassero a funzionare o la loro chiusura.
[4] Si tratta delle discariche di: Avigliano (località Serre Le Brecce); Ferrandina (località Venita); Genzano di Lucania (località Matinella); Latronico (località Torre); Lauria (località Carpineto); Maratea (località Montescuro); Moliterno (località Tempa La Guarella); Potenza (località Montegrosso-Pallareta); Rapolla (localité Albero in Piano); Sant’Angelo Le Fratte (località Farisi); Capistrello (località Trasolero); Francavilla (Valle Anzuca); L’Aquila (località Ponte delle Grotte); Canosa (CO.BE.MA); Torviscosa (società Caffaro); Corleto Perticara (località Tempa Masone); Marsico Nuovo (località Galaino); Matera (località La Martella); Rionero in Volture (località Ventaruolo); Salandra (località Piano del Governo); Senise (località Palombara); Tito (località Aia dei Monaci); Capestrano (località Tirassegno); Castellalto (località Colle Coccu); Castelvecchio Calvisio (località Termine); Corfinio (località Cannucce); Corfinio (località Case querceto); Mosciano S. Angelo (località Santa Assunta); S. Omero (località Ficcadenti); Montecorvino Pugliano (località Parapoti) e di Torviscosa (località La Valletta)
[5] Si tratta delle discariche di: Andria (D’Oria G. & C. Snc), Bisceglie (CO.GE.SER), Andria (F.lli Acquaviva), Trani (BAT-Igea srl), Atella (località Cafaro), Pescopagano (località Domacchia), Tito (località Valle del Forno).
[6] Si tratta delle discariche di: Potenza (località Montegrosso-Pallareta), Roccanova (località Serre), Campotosto (località Reperduso), San Mauro Forte (località Priati), San Bartolomeo in Galdo (località Serra Pastore) e Trivigano (ex Cava Zof).