Gli anni in cui pressoché la totalità dei cittadini degli Stati membri dell’UE era a favore dell’integrazione europea sono ormai molto lontani nel tempo e oggi il processo di integrazione non sembra più irreversibile. Eppure, è proprio grazie a questa Unione che abbiamo potuto vivere in pace negli ultimi settanta anni.
Ma come stupirsi? “I cittadini non sono innamorati del mercato interno” come disse, con un’immagine molto efficace, Jacques Delors.
Quando ci si trova in una situazione di povertà e di miseria, non solo non ci si preoccupa della pace, ma si è pronti a seguire chiunque e a credere qualsiasi cosa.
È così che milioni di cittadini votano a favore di partiti politici che predicano direttamente o indirettamente l’odio e propongono la chiusura delle frontiere come soluzione ai problemi economici e sociali, mentre, se si riflette a fondo, è chiaro che, secondo questa logica, il passo successivo per queste forze politiche sarà la guerra con i paesi vicini.
Nonostante la Brexit, non è ancora troppo tardi per convincere i cittadini che il loro futuro e il futuro dei loro figli sono in un’Europa democratica più unita e più solidale.
Vi è un’urgente necessità di politiche comuni, in particolare per quanto riguarda le relazioni esterne, la difesa, l’industria e la tecnologia, l’immigrazione, l’asilo e l’istruzione.
È soprattutto urgente rivolgere maggiormente l’attenzione alle persone che sono in una situazione di povertà o ne sono minacciate poiché, nonostante la ripresa economica degli ultimi anni, il tasso di povertà rimane a livelli preoccupanti nella maggior parte degli Stati membri dell’UE.
Le cifre sono allarmanti: il 22,5% della popolazione europea corre il rischio di povertà o esclusione; più di 6 milioni di giovani (di età compresa tra i 15 e i 24 anni) non sono né occupati né impegnati in corsi di studio o di formazione; 26 milioni di bambini europei vivono nella povertà e nell’esclusione. Essi rappresentano il 27 % della popolazione dell’UE di età inferiore a 18 anni.
Nel 2015 il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha lanciato il piano di investimenti per l’Europa, che porta il suo nome e che ha avuto un impatto positivo in quasi tutti i paesi dell’UE. Non bisogna assolutamente sottovalutare le iniziative in materia sociale della Commissione Juncker, ma occorre riconoscere che il problema della povertà è lungi dall’essere risolto.
Il metodo di coordinamento aperto (MCA), considerato lo strumento principale per combattere la povertà, si è rivelato del tutto insufficiente.
Per quanto riguarda la sussidiarietà, basta ipocrisie: la Commissione europea non può usarla come pretesto per non proporre uno strumento europeo vincolante volto a combattere realmente la povertà e la miseria.
Consapevole della gravità della situazione, nel febbraio 2019 il Comitato economico e sociale europeo ha adottato a larga maggioranza un parere in cui chiede alla Commissione europea di elaborare una direttiva quadro per l’introduzione di un reddito minimo, garantito dall’UE, per tutti i cittadini che vivono sul suo territorio.
L’introduzione di tale direttiva s’inserisce perfettamente nel contesto dell'”Europa a tripla A sociale” annunciata dal Presidente Juncker e darebbe un segnale concreto ai cittadini, dimostrando che l’UE lavora per loro. Essa consentirebbe inoltre: di generalizzare, sostenere e rendere dignitosi (adeguati) i regimi di reddito minimo negli Stati membri.
Tale iniziativa istituirebbe un quadro di riferimento per la definizione di un reddito minimo adeguato. Un reddito adattato al livello e allo stile di vita di ogni paese, che terrebbe conto dei fattori di ridistribuzione sociale, della fiscalità e del tenore di vita in base ad un bilancio di riferimento, la cui metodologia sarebbe definita a livello europeo.
L’introduzione di un reddito minimo garantito dall’UE ha un carattere eminentemente politico e nel parere adottato si precisa, tra l’altro, che:
– il diritto al lavoro deve rimanere un diritto fondamentale, in quanto fattore centrale di emancipazione e d’indipendenza economica;
– il reddito minimo dignitoso è, fondamentalmente, un elemento temporaneo ma indispensabile, il cui obiettivo è l’integrazione o la reintegrazione delle persone nel mercato del lavoro tramite misure attive; si tratta di un provvedimento di enorme importanza per la credibilità sociale dell’Unione europea;
– l’adeguatezza, la copertura e l’accesso a un reddito minimo restano sfide rilevanti per gli Stati membri nelle loro iniziative di sviluppo dei loro sistemi. Tali sistemi dovrebbero essere sostenuti e, se necessario, integrati a livello europeo.
Un’Europa unita e integrata è la nostra unica possibilità di continuare a vivere in pace. Ma l’unità non sopravviverà con milioni di cittadini poveri o minacciati dalla povertà.
L’Europa ha salvato le banche. Bisogna ora salvare i cittadini dando loro la possibilità di una vita dignitosa.
Georges Dassis è ex Presidente del Comitato economico e sociale europeo e relatore del parere d’iniziativa Per una direttiva quadro europea in materia di reddito minimo.