Roma – Chissà mai se è colpa del clima littorio tornato così di moda nella politica italiana. Oppure l’inarrestabile voglia di guerriglia all’Europa matrigna, che non solo ci obbliga a tenere i conti in ordine ma anche a usare parole proibite. L’ultima eredità del ministro Paolo Savona, che in questi giorni trasloca alla CONSOB, sono le “Europarole”, 18 lemmi segnalati nel sito del dipartimento delle Politiche Europee della Presidenza del Consiglio, per le quali si consiglia la traduzione. “Dillo in Italiano”, ordina il ministero, per alcune parole utilizzate nei documenti di Bruxelles. Se l’intento era di semplificare e far capire meglio quantitative easing o governance, l’esperimento è fallito davanti ad “allentamento quantitativo” e “governanza”.
Già, governanza, che tanto assomiglia a quel “sciampagna” al posto di champagne, indicato dal regime fascista nel ’40, quando si propose di abolire tutte le parole straniere per dare forza linguistica e culturale all’autarchia tricolore. Una bonifica grammaticale che sfiorò il ridicolo, traducendo bob in guidoslitta, principe di Galles in tessuto principe, garage in rimessa, e via con tutte le parole straniere più usate. Perfino dei classicissimi termini dell’economia monetaria come Gold Exchange standard, divenne base di cambio aurea.
Forse l’ex ministro delle Politiche europee si è ispirato proprio a quest’ultimo esempio o, ancora, allo scrittore Paolo Monelli che negli anni ’30 sulla Gazzetta del Popolo presentava una parola straniera al giorno, da sostituire con una in italiano autentico. Più o meno, quello che è successo negli ultimi mesi sul sito governativo che attorno alle Europarole ha organizzato una sorta di concorso, invitando i lettori a partecipare alla lapidazione del vocabolario UE (si vota fino a domenica 17 marzo). Dalla lista iniziale ne sono rimaste 18 (si ignora il motivo perché solo 18) tra cui oltre agli esempi già fatti vengono tradotti fiscal compact (patto di bilancio), hot spot (punto di crisi), steward (assistente di stadio) no deal (nessun accordo) e via con la lista completa, fino a Brexit che in italiano fa il poco maneggevole “la potenziale uscita del Regno Unito dall’Unione Europea”.
Al ministro non è sfuggito neppure il tanto odiato (ma per tutta la sua carriera frequentato) establishment che naturalmente diventa gruppo di potere, classe dirigente, autorità costituita, apparato. Un lavoro certosino che evidentemente non ha consentito altro tempo, quello che forse sarebbe stato altrettanto utile all’ex ministro per frequentare il Consiglio e la Commissione Europea, anche solo per presentare ai partner, (scusate “compagni dell’Unione”), questo singolare vocabolario italico.