Bruxelles – Per spiegare quello che è successo oggi a Westminster e quello che potrà succedere la prossima settimana al Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo (21 e 22 marzo) circa la Brexit ci vuole un’impostazione schematica, tenendo sempre presente che la prima strategia della premer e dell’UE, al momento, è quella di mettere pressione sui deputati perché alla fine il 20 marzo accettino l’accordo sottoscritto a novembre scorso, usando anche la prospettiva della indesiderata partecipazione alle elezioni europee come arma di convincimento:
- dopo aver respinto, alle volte per solo 2 o 3 voti, una serie di emendamenti (tra i quali uno, senza speranze, che chiedeva un secondo referendum), la Camera dei Comuni ha approvato a larghissima maggioranza ( 412 contro 201) una mozione del governo che dice: se il 20 marzo al terzo voto l’accordo May-Bruxelles passa, allora la premier va al Consiglio e chiede una proroga tecnica della data di separazione dall’UE al 30 giugno ma, dice la mozione, se il 20 marzo l’accordo non passa, allora May (che sembra però pensi anche ad un quarto voto, il 26) a Bruxelles chiederà una proroga molto più lunga, anche se questa richiederà di tenere le elezioni europee.
- a Bruxelles accadrà questo: nella prima ipotesi (accordo approvato) una proroga tecnica al 30 giugno sarebbe certamente concessa. Nella seconda ipotesi anche. Perché May chiederà, come prevede la mozione, ancora più tempo, molto più tempo, per fare qualcosa: rivedere daccapo tutti i suoi paletti negoziali per trovare un accordo in Parlamento, magari andare invece a elezioni anticipate, o chiamare un secondo referendum. Cosa potrà proporre ancora non si sa, ma l’UE non ha nessun interesse a un’uscita disordinata, benché per mesi abbia detto che non sono possibili proroghe se non ci sono fatti concreti sul tavolo. Fa meno danno, insomma, aspettare ancora per un anno o due che separarsi nella confusione.
Passerebbe, insomma, iniquesto casocas linea di Donald Tusk, che in queste ore sta incontrando i capi di governo dell’Unione per consigliere loro di concedere tutto il tempo di cui Londra ha bisogno. Ma in questa storia non sempre quel che appare logicamente conseguente a qualcosa poi accade davvero.
During my consultations ahead of #EUCO, I will appeal to the EU27 to be open to a long extension if the UK finds it necessary to rethink its #Brexit strategy and build consensus around it.
— Charles Michel (@eucopresident) March 14, 2019
Si farà forse una brutta figura, dopo mesi e mesi nei quali si è ribadito che senza fatti nuovi non ci sarebbero state proroghe senza fatti concreti. I fatti in sostanza li si verifica al contrario: fino ad ora non ci sono stati, basterà cambiare qualcosa, andare al voto politico, oppure decidere di partecipare all’Unione doganale, o trovare un’intesa del tipo “Norvegia” e la maggioranza in Parlamento a Londra sboccerà. Almeno, questo è quello che si spera se si praticherà questa ipotesi, poi fra un paio d’anni si vedrà. Bruxelles comunque non potrà mai essere accusata di aver cacciato Londra, e molti a Londra dovranno iniziare a rendersi conto che l’Impero autoreferenziale non c’è più.