Una strategia c’è. E’ quella della disperazione: è un po’ come la corsa di due auto verso il burrone nella quale vince il pilota che tiene duro fino a buttarsi fori negli ultimi metri, senza precipitare, un attimo dopo il concorrente. Questo stanno facendo, di comune accordo pur se forse di malavoglia da parte della premier, Unione Europea e Theresa May per tentare di arrivare ad una Brexit ordinata.
“L’Accordo è quello di novembre 2018 e non si tocca, i negoziati sono finiti”, ripetono oramai da mesi le autorità dell’Unione, e la premier lo ha più volte confermato in Parlamento. Se Bruxelles resta ferma sul punto, Londra può fare ben poco, visto che di proposte alternative non ne sono uscite, visto che non ha nulla da mettere sul tavolo. May neanche vuole che ci sia altro sul tavolo, non vuole un referendum, non vuole una proroga dei negoziati, non lavora ad un accordo diverso. Tanto meno lavora ad una revoca della separazione.
Sa bene la premier, e sanno bene a Bruxelles, che buono o no che sia l’accordo firmato lo scorso anno questo è l’unico possibile per evitare il caos, e dunque lavorano alla sua approvazione. E’ una lotta disperata, ma con qualche aggiunta di documenti marginali già ieri ai Comuni la bocciatura, pur storica anch’essa, è giunta con 81 voti in meno che a gennaio: ha perso per 149 “no”, contro i 230 del primo voto.
Dunque la strada da percorrere è questa. Non offre alcuna certezza, ma almeno c’è un’idea di percorso, favorita dal singolare sistema britannico che permette di sottoporre al voto parlamentare un documento già bocciato. Potrà dunque accadere che si voti di nuovo, ancor più a ridosso del 29 marzo. data fissata per la Brexit. Quel che potrà succedere è che quattro o cinque giorni prima (non di più, bisogna mantenere la drammatizzazione, la sensazione di ‘ultimo istante possibile’) l’Unione (“all’alba” dice un esperto dei meccanismi di Bruxelles) tirerà fuori una nuova concessione, nel nome del favorire una separazione ordinata, con la quale, dopo 24 ore, Theresa May potrà presentarsi in Parlamento a chiedere un nuovo voto. L’ultima chance.
Poi potrebbe anche esserci una piccola proroga di qualche settimana alla data di separazione effettiva, per permettere aggiustamenti tecnici.
Bruxelles dice che la palla è nel campo britannico: c’è molta verità, ma non è forse tutta.