Bruxelles – Anche fisicamente Theresa May è stata il simbolo della seconda, pesante, sconfitta che ha avuto alla Camera dei Comuni sull’accordo per la Brexit. La premier è da stamane senza voce, e questa sera ha parlato davvero a fatica per ammettere che per 149 voti di differenza i deputati britannici hanno respinto, per la seconda volta in due mesi, l’accordo che lei aveva negoziato con Bruxelles, nonostante le ultime assicurazioni sulla gestione del confine irlandese giunte dall’Unione. Ora l’incertezza sul futuro del Regno Unito è assoluta. Non c’ più un piano, un sentiero sul quale lavorare.
The EU has done everything it can to help get the Withdrawal Agreement over the line. The impasse can only be solved in the #UK. Our “no-deal” preparations are now more important than ever before.
— Michel Barnier (@MichelBarnier) March 12, 2019
Con 242 “sì” e 391 “no” May conquista una nuova posizione nella top five delle sconfitte governative in Parlamento: con quella del 15 gennaio ha surclassato tutti piazzandosi di gran lunga al primo posto con 230 voti di differenza. Oggi ha conquistato anche il quarto posto. Era da 1924 che un governo non perdeva così pesantemente.
Eppure May resta prima ministra, perché non c’è altra scelta, perché nessuno nel suo partito ha voluto questa patata bollente che invece lei ha tentato, inutilmente, di gestire. Perché nessuno ha la minima idea di cosa fare.
La premier con la voce roca e sofferente che aveva stasera dopo il voto ha detto ai deputati che il suo dovere è di rispettare il referendum Brexit per l’abbandono dell’Unione europea, ma che è di grande importanza farlo con accordo.
Domani sera i deputati voteranno sulla proposta di non poter lasciare l’Unione europea se non c’è un accordo, e su questo May lascia libertà di voto ai suoi, e se la proposta passerà il giorno dopo, giovedì, si voterà sul chiedere una proroga dei negoziati e dunque della data di uscita del 29 marzo.
Votare per l’estensione (che deve essere concessa dai governi dell’UE), ha però ammonito May “non risolve il problema, l’Unione europea vorrà sapere cosa vogliamo farci: vogliamo revocare l’articolo 50 (del Trattato Ue, quello che ha avviato il processo di separazione, ndr)? Vogliamo un secondo referendum? Un altro accordo? Sono scelte – ha ammonito la premier – che vanno affrontate”. Come infatti chiede il primo ministro olandese Mark Rutte.
Should the UK hand in a reasoned request for an extension, I expect a credible and convincing justification. The #EU27 will consider the request and decide by unanimity. The smooth functioning of the EU institutions needs to be ensured.
— Mark Rutte (@MinPres) March 12, 2019