Roma – Gli esiti della Brexit hanno già modificato la percezione dell’Europa tra i suoi cittadini. Restano rabbia e insoddisfazione ma le spinte di rivolta o di probabile declino che sembravano inevitabili, si sono mitigate. E a due mesi dalle elezioni, l’analisi dei sentimenti che genera l’UE incrociati con le intenzioni di voto di diversi istituti di ricerca, rappresenta una guida utile per tutti i partiti per calibrare una campagna elettorale che sembra più sganciata del solito dalle vicende interne dei Paesi membri. Sicuramente c’è qualche eccezione come Spagna e Polonia che avranno consultazioni politiche ravvicinate, e tuttavia il confronto che si svilupperà nei partiti è tra un’Europa con maggiore integrazione e una più spostata sulla centralità dei governi nazionali.
La bussola la fornisce la società SWG in collaborazione con altri quattro istituti di ricerca che hanno raccolto dati in Germania, Austria, Polonia, Spagna e Francia. Gli elettori dei sei paesi hanno risposto alle stesse domande consentendo di ottenere una lettura originale del sentiment degli europei che andranno al voto il 26 maggio. La ricerca “Change, l’Europa alla prova del cambiamento”, evidenzia prima di tutto un clima teso che spinge a una svolta radicale e alimenta turbamenti e paure che sfociano nella richiesta di nuovi nazionalismi. L’altro elemento chiave è la contrapposizione “popolo- élite” che segnala le nuove fratture sociali, chiamando a una risposta precisa il futuro governo di Bruxelles. Se “i populismi attraggono più i ceti medio bassi mentre i sovranismi trovano forza nei medio alti”, emergono differenze anche linguistiche che spiegano meglio ciò che accade in alcuni Paesi come Francia o Polonia.
All’ invito a riflettere sulle risposte dei cittadini europei è stato chiamato il candidato alla presidenza della Commissione per i Socialisti e democratici Frans Timmermans, e il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana. “Quello che è successo con la Brexit, significa che abbiamo perso il controllo del nostro destino ma non significa che non ci sono alternative ai nazionalismi” dice Timmermans, che sdogana anche la parola identità per la sinistra. “Per ragioni storiche è stata strumentalizzata dalla destra” ma “il patriottismo non è il nazionalismo che invece per affermarsi ha bisogno dei nemici”. L’opzione exit non gode più di grande successo, scompare quasi ovunque salvo eccezioni, e anche in chi aspira a un cambio radicale dell’UE come i francesi, l’europeismo resiste. La Spagna è quasi sempre la prima sentinella a guardia di Bruxelles e pure l’Italia, a dispetto di narrazioni di propaganda, resiste alle cariche dei demolitori.
I dati sulle intenzioni di voto dei cinque istituti di ricerca non si differenziano di molto da ciò che lo stesso Eurobarometro sta monitorando, ormai settimana dopo settimana. Per una futura maggioranza non basterà più l’intesa tra PPE e Socialisti ma saranno necessari altri innesti con i liberali di ALDE (in forte crescita grazie alla possibile confluenza di En Marche di Macron) oppure con i Verdi. “Non capisco perché non possa essere ipotizzata un’alleanza senza il PPE” ha commentato Timmermans a proposito dei futuri equilibri di Strasburgo. “Tanto più che i popolari stanno slittando sempre di più a destra, anche Tajani ha detto che vuole l‘alleanza con Salvini”. Socialisti ovunque in calo, tranne che in Spagna ma nulla è impossibile e il leader ci crede: lavoro, sviluppo e disuguaglianze, le carte della sua campagna elettorale ma c’è da giurare che per recuperare voti punterà proprio contro il doppio forno del PPE.