Bruxelles – Le decisioni dell’Autorità europea per l’alimentazione (EFSA) “che negano l’accesso agli studi di tossicità e di cancerogenicità della sostanza attiva glifosato sono annullate”. Lo ha deciso il Tribunale dell’Unione con due sentenze emesse oggi, nelle quali si spiega che l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente è non solo quello di sapere che cosa è, o prevedibilmente sarà, rilasciato nell’ambiente, ma anche “quello di comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di essere danneggiato dalle emissioni in questione”.
Il glifosato è un prodotto chimico utilizzato nei pesticidi – i quali sono prodotti fitosanitari – ed è uno degli erbicidi più usati nell’Unione. E’ stato iscritto nell’elenco delle sostanze attive per un periodo che va dal luglio 2002 al giugno 2012, e poi l’inscrizione è stata prorogata temporaneamente fino al dicembre 2015. Ai fini del rinnovo dell’approvazione della sostanza attiva glifosato, la Germania, in quanto Stato membro relatore, ha presentato alla Commissione e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) un “progetto di rapporto valutativo per il rinnovo”, pubblicato dall’EFSA il 12 marzo 2014. LA questione è arrivata alla Corte quando (con la causa T-716/14), il signor Anthony C. Tweedale ha presentato all’EFSA una domanda di accesso a documenti in forza del regolamento relativo all’accesso del pubblico ai documenti nonché in forza del regolamento sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni. La domanda verteva su due studi di tossicità: “i due ‘studi chiave’ utilizzati per determinare la dose giornaliera ammissibile (ADI) di glifosato”. Poi si aggiunse un procedimento (T-329/17), promosso da alcuni eurodeputati (Heidi Hautala, Michèle Rivasi, Benedek Jávor e Bart Staes), che chiedevano accesso a documenti sulla base dei regolamenti.
Nelle due cause, l’EFSA ha negato l’accesso motivando la propria decisione sostenendo tra l’altro che: la divulgazione di tali informazioni potrebbe arrecare serio pregiudizio agli interessi commerciali e finanziari delle imprese che hanno presentato i rapporti di studi; che non esisteva alcun interesse pubblico prevalente alla divulgazione; che non esisteva alcun interesse pubblico prevalente alla divulgazione delle parti degli studi alle quali i ricorrenti chiedevano accesso, dato che tali parti non costituivano informazioni “[riguardanti] emissioni nell’ambiente” ai sensi del regolamento di Aarhus; e che l’EFSA ha ritenuto che l’accesso alle parti di tali studi non fosse necessario per verificare la valutazione scientifica dei rischi realizzata conformemente al regolamento relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari.
Con le sue sentenze di oggi, il Tribunale ricorda anzitutto la presunzione secondo cui si ritiene che la divulgazione delle informazioni “[riguardanti] emissioni nell’ambiente”, ad eccezione di quelle relative alle indagini, presenti un interesse pubblico prevalente rispetto all’interesse concernente la tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica, cosicché la tutela di tali interessi commerciali non può essere opposta alla divulgazione di dette informazioni. Ciò implica che un’istituzione dell’Unione, quando riceve una domanda di accesso a un documento, “non possa giustificare il suo rifiuto di divulgarlo sulla base dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica, qualora le informazioni contenute in tale documento configurino informazioni ‘[riguardanti] emissioni nell’ambiente'”.
Il Tribunale esamina poi la natura delle informazioni contenute negli studi richiesti al fine di accertare se tali studi costituiscono informazioni “[riguardanti] emissioni nell’ambiente”, ai sensi del regolamento di Aarhus.
Il Tribunale ritiene che una sostanza attiva contenuta nei prodotti fitosanitari, come il glifosato, sia, nell’ambito del suo utilizzo normale, destinata a essere rilasciata nell’ambiente in ragione della sua stessa funzione e le sue prevedibili emissioni, quindi, non possano essere considerate meramente ipotetiche. In ogni caso, le emissioni di glifosato “non possono essere qualificate come emissioni soltanto prevedibili. Gli studi richiesti, infatti, facevano parte del fascicolo per il rinnovo dell’approvazione della sostanza attiva glifosato”.
Al riguardo, il Tribunale constata che il glifosato è stato iscritto come sostanza attiva a decorrere dal primo luglio 2002. A partire da quella data, il glifosato è stato autorizzato negli Stati membri ed è stato effettivamente utilizzato in prodotti fitosanitari. Il glifosato è uno degli erbicidi più usati nell’Unione. “Le emissioni di glifosato nell’ambiente sono quindi reali. Detta sostanza attiva è in particolare presente sotto forma di residui nelle piante, nell’acqua e negli alimenti. Gli studi richiesti sono, di conseguenza, studi diretti a stabilire la cancerogenicità e la tossicità di una sostanza attiva che è effettivamente presente nell’ambiente”.
Il Tribunale conclude che l’EFSA non può sostenere che gli studi richiesti non riguardano emissioni effettive né gli effetti di emissioni effettive.
Per quanto riguarda l’argomento dell’EFSA secondo cui un nesso con emissioni nell’ambiente non sarebbe sufficiente perché tali studi ricadano nell’ambito di applicazione del regolamento di Aarhus, il Tribunale rileva che dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta che la nozione di “informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente”, ai sensi del regolamento di Aarhus, non è circoscritta alle informazioni che consentono di valutare le emissioni in quanto tali, ma comprende anche le informazioni relative agli effetti di dette emissioni.
Pertanto, secondo i giudici europei, “il pubblico deve avere accesso non solo alle informazioni sulle emissioni in quanto tali, ma anche a quelle riguardanti le conseguenze a termine più o meno lungo di dette emissioni sullo stato dell’ambiente, come gli effetti di tali emissioni sugli organismi non bersaglio. Infatti, l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente è appunto non solo quello di sapere che cosa è, o prevedibilmente sarà, rilasciato nell’ambiente, ma anche di comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di essere danneggiato dalle emissioni in questione”.
La nozione di “informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente” deve quindi essere interpretata nel senso che essa include non solo le informazioni sulle emissioni in quanto tali, ossia le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo di tali emissioni, ma anche i dati relativi agli effetti a termine più o meno lungo di dette emissioni sull’ambiente. Il Tribunale conclude che gli studi richiesti devono essere considerati informazioni “[riguardanti] emissioni nell’ambiente” e che “si ritiene che la loro divulgazione presenti un interesse pubblico prevalente”. L’EFSA non poteva quindi negarne la divulgazione, adducendo che ciò avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali dei proprietari degli studi richiesti.
Quindi nella causa T-716/14 il Tribunale annulla la decisione impugnata nella parte in cui l’EFSA ha negato la divulgazione di tutti gli studi richiesti, ad eccezione dei nomi e delle firme delle persone ivi menzionate.
Nella causa T-329/17, il Tribunale annulla la decisione impugnata nella parte in cui l’EFSA ha negato l’accesso alle parti “materiale, condizioni sperimentali e metodi» e «risultati e analisi» degli studi richiesti”.
In una nota Marco Affronte, Europarlamentare del gruppo europeo Verdi-ALE, afferma che “la sentenza è una pietra miliare, è una vittoria nella lotta contro la segretezza quando si tratta dei rischi ambientali e sanitari di prodotti pericolosi come il glifosato. D’ora in poi, il pubblico e gli scienziati indipendenti potranno vedere come i giganti chimici scrivono le loro relazioni sulla sicurezza dei loro prodotti per ottenere l’autorizzazione”. Per Affronte “grazie alla pubblicazione di tutti gli studi disponibili, in futuro scienziati indipendenti saranno in grado di ricontrollare le ricerche alla base delle valutazioni dei pesticidi. È fondamentale avere a disposizione un sistema di regolamentazione che funzioni nell’interesse della salute umana, della biodiversità e dell’ambiente, e non per il profitto aziendale”.