Bruxelles – La Cina non cambia il suo modo di fare, l’Europa non ha ancora la capacità di capire come agisce Pechino e dunque fa fatica a definire una politica commerciale di contrasto reale ad un Paese che l’Ue si ritrova a inseguire. La prossima legislatura deve servire a creare uno spirito tutto nuovo. Sempre che nel frattempo l’Italia non si presti per il ruolo di ‘cavallo di Troia’ per l’intero club a dodici stelle.
La situazione del commercio Ue-Cina è piena di sfide e ancor più ricche di insidie. Jonathan Holstag, docente di politica internazionale presso l’università di Bruxelles, consigliere del primo vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, e autore del libro ‘La trappola della via della seta: come le ambizioni cinesi sfidano l’Europa’, conosce la materia. Spinosa.
Ci sono sei aspetti dove l’Ue aspetta da anni progressi: riequilibri economici domestici, riequilibro delle disparità nel commercio bilaterale, parità di condizioni per gli investitori, parità di condizioni nello scambio di proprietà intellettuale, concorrenza leale, regole commerciali più liberali. In nessuna di queste aree, spiega nel suo intervento in Parlamento europeo, si registrano miglioramenti significativi. C’è qualche “timida” apertura del mercato nazionale, ma nel complesso “non ci sono indicazioni di progressi”.
L’esperto prova a fare un bilancio. E i conti non tornano. “Proviamo da 25 anni a impegnarci con la Cina, in termini di dialogo e cooperazione economica per apertura dei mercati e riduzione delle barriere” commerciali. Non è cambiato molto.
Non solo. La Cina opera in maniera scaltra. Ha promesso di importare di più, e lo sta facendo. Ma per i propri tornaconti. “L’import cinese è funzionale al suo export”, rileva Holstag. “La Cina importa materie prime, per esportare i prodotti finiti” con cui invadere i mercati esteri, inclusi quelli europei. In prospettiva si rischia una guerra ancor più spietata. Non è da escludere che in futuro la repubblica popolare cinese “esporterà meno prodotti, ma di migliore qualità, e questa non è una buona notizia per noi” europei.
La concorrenza cinese continuerà a rappresentare un problema. L’Europa fa fatica a tenere il passo, è vittima di “aperture selettive” del mercato cinese, a cui fornisce le risorse per la concorrenza cui poi l’Ue deve rispondere. Pechino ha una strategia di infrastrutture e investimenti in Europa, Asia e Africa, che mira a conquistare senza essere conquistati. Si chiama ‘Belt and Road Initiative (BRI)’, o ‘Nuova via della seta’. “Secondo me è un altro modo per distorcere mercato” e concorrenza ad esclusivo vantaggio cinese.
Attualmente nessuno degli Stati membri dell’Ue è intenzionato a seguire Pechino su questa strada. A parte l’Italia. Il 22 marzo il presidente Cinese Xi Jinping è atteso in visita in Italia, e il ministro per lo Sviluppo economico, Luigi Di Maio, vorrebbe cogliere l’occasione per siglare il protocollo d’intesa sulla ‘nuova via della seta’. Sarebbe l’unico caso nell’Ue. Per la Cina, in sostanza, le porte dell’Unione europea potrebbero essere spalancate dall’Italia. Mosse pericolose. Forse vantaggiose in termini nazionali, ma non per l’Ue nel suo insieme.
“A livello europeo come a livello nazionale bisogna rendersi conto di cosa è in gioco”, avverte Holstag. E’ questa la chiave per cercare di non soccombere alla pressione cinese. Oltre a giocare la partita della reciprocità. “Se loro non ci fanno entrare, noi non dobbiamo farli entrare”. Nessuna concessione, in assenza di concessioni.