Bruxelles – Ci provava dal 2015, finalmente oggi Chiara Ferragni, che da influencer sui social è oramai diventata una vera imprenditrice della moda, è riuscita ad avere il suo marchio europeo: il suo nome, con le I in neretto (dunque leggermente diverso da quello normalmente in circolazione), sormontato da un occhio azzurro dalle lunghe ciglia.
Con un gruppo di imprenditori italiani quattro anni fa Ferragni, attraverso la sua società Serendipity, chiese all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) di registrare, in particolare per alcuni prodotti di abbigliamento e pelletteria, il suo marchio, ma una società dei Paesi Bassi si oppose riuscendo poi a far valere la obiettivamente debole tesi che si creava un rischio di confusione con il marchio già da essa depositato “Chiara”, registrato nel Benelux nel 2015 per prodotti di abbigliamento.
L’EUIPO ci mise due anni, ma nel 2017, rifiutò dunque la registrazione del marchio “Chiara Ferragni” in quanto sostenne che effettivamente esistesse “un rischio di confusione tra i segni in questione”. La questione è dunque andata avanti, sino al Tribunale dell’Unione, che oggi ha annullato la decisione dell’EUIPO, concedendo a Ferragni di usare il suo nome sui suoi prodotti.
In sostanza il Tribunale ha riconosciuto che il rischio di confusione tra i due marchi non esiste, perché quello italiano è composto da un nome ed un cognome di una persona ben identificata, ed ha anche un elemento figurativo rappresentato dall’occhio dalle lunghe ciglia, elementi che lo distinguono chiaramente da un semplice “Chiara” (che, chiaramente, nella sua genericità, puntava invece alla confusione nel cliente evocando il nome della nota imprenditrice italiana).
Secondo il Tribunale l’EUIPO inoltre “ha commesso un errore attribuendo maggior importanza all’elemento denominativo ‘chiara’ rispetto all’elemento figurativo”, l’occhio.
Tutto sommato poi i giudici europei hanno anche stabilito, cpiega una nota del Tribunale, che “le differenze tra i segni esaminati, in particolare sotto il profilo visivo, costituiscono motivi sufficienti per escludere la sussistenza di un rischio di confusione nella percezione del pubblico”.