Bruxelles – La semplice intenzione di abbandonare dall’Ue, per quanto annunciata e notificata, non fa cessare gli obblighi che derivano dall’essere membri dell’Unione. Quindi, finché il Regno Unito resterà un Paese comunitario dovrà continuare a farsi carico come tutti delle richieste di asilo, ai sensi delle normative comunitarie attualmente vigenti e sottoscritte da Londra, in particolare il regolamento di Dublino III. Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Ue, nella sentenza emessa oggi, e che avrà ripercussioni qualora Londra dovesse chiedere e ottenere una proroga negoziale, che vorrebbe dire prolungamento della permanenza all’interno dell’Unione.
I giudici di Lussemburgo si limitano a ribadire un principio che tutti avevano ribadito sin qui: fino al compimento della Brexit, previsto il 29 marzo prossimo, il Regno Unito ha gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri. I togati non fanno che confermarlo. “La notifica da parte di uno Stato membro del proprio intento di recedere dall’Unione non ha l’effetto di sospendere l’applicazione del diritto dell’Unione in detto Stato membro e che, pertanto, tale diritto continua ad essere pienamente vigente in detto Stato fino al suo effettivo recesso dall’Unione”.
Si chiarisce inoltre che in materia di immigrazione e protezione internazionale, “spetta a ogni Stato membro determinare le circostanze in cui intende far uso del proprio potere discrezionale e accettare di esaminare direttamente una domanda di protezione internazionale per la quale non è competente”. Nel caso oggetto del contendere, l’Irlanda aveva trasferito alle autorità britanniche il file di un richiedente asilo perché secondo Dublino era competenza di Londra. Poteva farlo. E per i britannici la Brexit non è una scusa valida per disinteressarsi del caso.