L’unica trasversalità concreta comune a tutti i partiti italiani è quella di costruire le proprie strategie e le proprie azioni in base gli errori degli altri – o ai presunti tali mentre nessuno traccia un vero percorso politico di medio-lungo periodo.
Da Twitter a Facebook, dalle dichiarazioni stampa alle proposte di legge, tutto vorrebbe dimostrare che gli altri hanno sbagliato, sbagliano, sbaglieranno mentre nessuno ci dice cosa davvero vuole fare per l’Italia e – cosa non scindibile – per l’Europa.
La politica italiana è impantanata in una perenne campagna elettorale che si sostanzia in una guerra di distruzione totale di qualunque valore comune – e comunitario – nella speranza di prendere una manciata di voti in più; voti che – è così da Mani Pulite e dal crollo dei partiti nati dalla Resistenza –mostrano oltretutto una volatilità troppo elevata per una democrazia sana e che ha pretesa di essere radicata nelle coscienze.
In realtà, un Paese che da diversi anni cammina sull’orlo di un baratro e che pure ha ben identificato dove si annidano i mali che lo affliggono (deficit, debito, governabilità, evasione fiscale, burocrazia, scuola etc.), non riesce a coagulare il desiderio comune di risolverli attraverso l’unica strada storicamente possibile nelle emergenze: la massima convergenza delle forze politiche su di un progetto di risanamento e riforma. La Storia, infatti, ci insegna che l’alternativa a questa convergenza equilibrante è la polarizzazione verso una visione estrema – importa poco se nazionalista, populista, neoliberista o fascista o stalinista – che attraverso una soluzione altrettanto estrema finisca per soffocare tutti coloro i quali quella visione di parte non condividono.
Ecco perché i leader – espressione forse un poco magniloquente, visto il “parco macchine” oggi in circolazione… – dei maggiori partiti dovrebbero smetterla di lavorare solo sugli errori degli altri o di arroccarsi nel dettaglio dei propri progetti, passando ad una definizione dei minimi comuni denominatori condivisi (prima di andare a dormire, una rilettura della Carta Costituzionale e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo – come degli atti fondativi dell’Europa unita – darebbe buoni spunti…) sui quali rifondare i principi che governano l’Italia, avviare le riforme fondamentali e farci uscire da questo pantano.
Osservando quel mare magnum di sciocchezze che si leggono sui social, se ne deduce però che dietro c’è una grandissima massa di gente fondamentalmente pulita che vuole davvero una società più giusta, trasparente, onesta ma la cui esasperazione è raccolta e imbrigliata da una politica che la trasforma, ciascuno per la sua parte, in settarismo, in negazione dell’evidenza, in speranze impossibili se non deleterie, in sconfitte camuffate da vittorie e vittorie che riescono a diventare immense sconfitte. Il tutto farcito da gossip, fake news, terrapiattismi, satanismi e altre baggianate che, come pesi di piombo, trascinano inesorabilmente la politica italiana sempre più in basso mentre, più in basso si scende, più chiunque si sente all’altezza della situazione vomitandoci sopra altre pesanti sciocchezze.
In questo scenario, l’Italia pesa notevolmente in Europa non solo per la percentuale rilevantissima del suo PIL, bensì per l’effetto deflagrante che il nostro Paese può avere non sui più piccoli, ma sui più grandi, sollecitati anche dal rebus – garbato eufemismo! – della situazione in Gran Bretagna. Per evitare di essere noi la locomotiva che spinge verso il disastro, nazionale come comunitario, dobbiamo tutti abbandonare questo clima da stadio, i nostri eccessi da tifoseria, gli slogan urlati e la divinizzazione del nostro gruppo e – magari “turandoci il naso” come qualcuno ebbe a dire in altri tempi – cercare una trasversalità positiva, non negativa, per superare questo difficile periodo storico. Azione non facile, per una sinistra che si scinde ogni cinque minuti, per una destra ormai ex berlusconiana e priva di ricambio, per un Movimento 5 Stelle che, cresciuto troppo in fretta, ha imbarcato personaggi inadeguati, per una Lega che continua a sollecitare più gli istinti che la ragione.
Ma, come disse un altro grande leader del passato, “non dobbiamo farlo perché è facile: dobbiamo farlo perché è difficile”.