Bruxelles – Contro ogni attesa della Commissione, e nel rispetto di ogni aspettativa generale, l’Ue non sarà in grado di dotarsi di un nuovo quadro finanziario pluriennale entro la fine della legislatura. Gli Stati membri sono ancora troppo divisi: diverse sensibilità vuol dire di conseguenza diverse priorità nell’agenda dei desideri. A questo si aggiunge un ormai tira e molla tra chi vorrebbe mettere più risorse sul piatto, ma giusto un poco di più, senza strafare, e chi ne vorrebbe mettere meno.
Il dibattito sul bilancio che si consuma nello stesso giorno in Parlamento e in Consiglio mostra chiaramente la diversità di intenti, come vuole l’ormai solito copione: esecutivo comunitario che chiede un certo ammontare di risorse, Eurocamera che vuole aumentarlo e Stati che vogliono ridurlo. Il voto del Consiglio sul bilancio del 2019 risponde a questa esatta dinamica. Alla fine i rappresentanti dei Ventisette hanno deciso per 148,2 miliardi di euro in pagamenti e 165,8 miliardi in impegni di pagamento. Qualcosa in più rispetto alla seconda proposta della Commissione (148 e 165 miliardi rispettivamente), concesso solo dopo un mancato accordo col Parlamento sulla preceente bozza di bilancio.
Per il bilancio pluriennale (Mff 2021-2027) il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, insiste a chiedere che i governi “arrivino in porto prima delle elezioni europee”, ma i ministri degli Affari europei nella bozza di conclusioni del vertice dei leader mettono si impegnano a “raggiungere un accordo in seno al Consiglio europeo nell’autunno 2019”. Molto dopo le elezioni europee (23-26 maggio).
Con questo calendario sarà il nuovo Parlamento a doversi esprimere, quello che si voleva evitare secondo le intenzioni del team Juncker, che pure scadendo a fine ottobre potrebbe restare in carico quanto basta per arrivare all’intesa politica. Ammesso che ci si riesca. “Riteniamo che ci siano molte sfide davanti a noi, e quindi dovremmo essere cauti nel fissare tempistiche”. E’ questa la posizione espressa dalla Lettonia, che meglio di altri spiega la situazione. Il quadro finanziario 2021-2027 può essere trovato anche nel 2020.
Se grandi Paesi come la Francia sposano la visione secondo cui la fretta può essere cattiva consigliera (“diamo priorità alla qualità del dibattito invece che alla sua velocità”, dice la ministra Nathalie Loiseau) allora il rischio di intese politiche in tempi brevi è davvero un qualcosa che appare lontano. Ma se i leader si impegnano a chiudere comunque tutto per il prossimo autunno, potrebbe anche essere un buona notizia.
Il problema è che a giudicare la deliberazione pubbliche dei ministri degli Stati membri, non si è ancora d’accordo su niente. C’è chi sostiene che vadano messe più risorse in generale (Spagna e Grecia), c’è chi una simile cosa non vuole nemmeno sentirla (Repubblica ceca e Polonia), chi vorrebbe più risorse limitatamente ad alcune aree (Italia), chi ancora si dice pronta a contribuire di più ma a certe condizioni (Germania, Lituania).
Ancora, si è divisi sull’idea di dotare l’Ue di risorse proprie attraverso sistemi di imposizione fiscale. Idea respinta al mittente da Bulgaria, Cipro, Danimarca. Se non si trovano alternative tutto resta ferma al contributo nazionale, che vuol dire meno Europa e più Stati. La scelta del resto compiuta già in sempre più capitali.