Bruxelles – Il Parlamento europeo ha stabilito, votando in plenaria, che i controlli alle frontiere interne dello spazio Schengen debbano essere limitati a un periodo massimo di un anno, dimezzando il lasso di tempo di due anni previsto adesso. Non solo: il periodo iniziale per i controlli alle frontiere, sempre secondo l’Europarlamento, dovrebbe limitarsi ad una durata di due mesi anziché di sei. Così ha concluso oggi, votando in plenaria e aprendo così la negoziazione con il Consiglio. Il mandato per avviare colloqui formali con i ministri dell’Ue è stato approvato con 319 voti in favore, 241 voti contrari e 78 astensioni.
Le regole su cui si è discusso oggi al Parlamento europeo fanno parte del Codice Frontiere Schengen, che garantisce la possibilità, per motivi legati a minacce per l’ordine pubblico o per la sicurezza interna, di effettuare controlli temporanei alle frontiere interne. Sono da considerarsi, appunto, misure da prendere in ultima istanza, in casi eccezionali e di reale emergenza. Gli europarlamentari ci tengono a precisarlo, così da rendere chiare le motivazioni legate alla loro presa di posizione: motivazioni dettate dalle conseguenze negative che tali controlli hanno sulla libera circolazione delle persone, direttamente coinvolta, per forza di cose, da tali misure straordinarie.
La plenaria si è espressa anche in favore di nuove regole per la concessione delle proroghe: i Paesi dell’area Schengen dovranno fornire una valutazione dettagliata dei rischi se i controlli temporanei alle frontiere interne verranno prolungati oltre i due mesi iniziali. I requisiti per il prolungamento, in particolare, saranno valutati mediante una dichiarazione di conformità della Commissione europea e previa autorizzazione del Consiglio dei ministri dell’Ue.
“Schengen è una delle maggiori conquiste dell’UE che, tuttavia, è stata messa in pericolo a causa dei controlli illegali in corso da oltre tre anni alle frontiere interne, da parte di sei Stati membri, nonostante fosse previsto un periodo massimo di due anni”, ha dichiarato l’europarlamentare slovena Tanja Fajon, negoziatrice S&d per la revisione del Codice, affermando anche come ciò dimostri “quanto siano ambigue le norme attuali” e come “gli Stati ne abusino e le interpretino in modo scorretto”. Ha concluso poi con una riflessione: “Se vogliamo salvare Schengen, dobbiamo porre fine a questa situazione e stabilire regole chiare.”
I Socialisti e Democratici, in una nota, hanno contestato la volontà dei popolari europei (Ppe) di apportare modifiche al Codice alfine di “consentire controlli permanenti alle frontiere interne”, volontà però “fortunatamente fallita”. “Il Ppe sta diventando sempre più un partito a forte impronta nazionalista, solo apparentemente filo-europeo”, ha sottolineato Fajon.
Sono cinque i paesi in cui al momento le frontiere sono sottoposte a controlli per motivi legati alla crisi migratoria: Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia. La Francia, invece, dispone di controlli a causa della minaccia terroristica persistente.
Il gruppo Alde (Alleanza dei Democratici e Liberali per l’Europa) ha espresso il suo “pieno appoggio alla relatrice Tanja Fajon” e alle sue proposte affinché il Codice divenga “più chiaro e trasparente”, consentendo al sistema stesso di “rimanere in vita”, limitando le possibilità degli Stati membri di prolungare i controlli alle frontiere interne “quando non sono necessari e proporzionati”.