Sui giornali scrivono che la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo ha deciso di non decidere, che non sapremo mai se Silvio Berlusconi sia stato vittima di un sopruso, ingiustamente privato del seggio di senatore, del diritto di essere eletto. E persino, come dicono i suoi avvocati, che l’ex Cavaliere ha rinunciato al ricorso perché, se l’avesse vinto (come loro credevano) ci sarebbero state conseguenze negative per la già complicata situazione politica in Italia.
Io ho un’altra lettura.
La Decisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di archiviare il ricorso di Silvio Berlusconi contro la sua decadenza da senatore nel 2013, a causa di una condanna definitiva per frode fiscale, ha una portata che va al di là dello specifico caso dell’ex premier italiano e leader di Forza Italia. Più che di una “non decisione”, si tratta di una decisione di non agire.
La Corte, in effetti, avrebbe potuto benissimo mettere in causa la Legge Severino contro la corruzione, in virtù della quale Berlusconi era stato dichiarato decaduto dal Senato, dopo essere stato eletto, pur non potendosi candidare. Se non lo ha fatto, è perché i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che non fosse necessario, non riscontrando una possibile violazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo in quella legge, che priva del diritto di essere eletto chi ha subito condanne per reati gravi legati al crimine organizzato, alla corruzione, alla frode fiscale e all’abuso d’ufficio.
Non si tratta di una supposizione, ma di quello che c’è scritto nero su bianco nell’articolo 37, paragrafo 1, della Convenzione, riguardo alla “cancellazione dal ruolo” (cioè l’archiviazione di un ricorso), e poi nei paragrafi 67, 68 e 69 della stessa Decisione della Corte resa nota ieri.
“In ogni momento della procedura – si legge nell’articolo 37 della Convenzione -, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze permettono di concludere: (a) che il ricorrente non intende più mantenerlo; oppure (b) che la controversia è stata risolta; oppure (c) che per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata. Tuttavia la Corte prosegue l’esame del ricorso qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli lo imponga”.
Questo significa che, una volta che il ricorrente ha chiesto di archiviare il ricorso (come ha fatto Berlusconi nell’agosto scorso, dopo la riabilitazione per aver scontato la condanna per frode), oltre a decidere la “cancellazione dal ruolo”, la Corte europea avrebbe potuto continuare comunque, al di là del caso specifico, l’esame delle circostanze che avevano portato a quel ricorso, per verificare se obiettivamente comportino una violazione dei diritti tutelati dalla Convenzione, che potrebbe riprodursi anche in altri casi.
In altre parole, se avesse sospettato che la Legge Severino comporti davvero, come sostenevano le accuse di Berlusconi, violazioni al diritto a un equo processo e al principio “Nulla poena sine lege”, (e cioè agli articoli 6 e 7 della Convenzione), la Corte avrebbe continuato il suo esame anche dopo il ritiro del ricorso, per accertare la fondatezza di quelle accuse, e sarebbe arrivata fino a una sentenza.
In effetti, dopo aver “inequivocabilmente stabilito” l’intenzione di Berlusconi di rinunciare al ricorso, la Corte osserva nel paragrafo 67 della Decisione che “resta da determinare se vi siano circostanze speciali relative al rispetto dei diritti umani, ai sensi della Convenzione e dei suoi Protocolli, che richiedono di continuare l’esame del ricorso”. E, subito dopo (paragrafo 68), i giudici osservano che, per fare questo, “la Corte ha, fra l’altro, considerato se il caso sollevasse questioni importanti che le fornissero l’opportunità di chiarire, salvaguardare e sviluppare le norme di protezione” dei diritti ai sensi della Convenzione, oppure se “l’impatto del caso andasse oltre la particolare situazione del ricorrente”.
Tenendo conto dei fatti nel loro insieme, e in particolare della riabilitazione del ricorrente e della sua volontà inequivocabile di ritirare il ricorso, la Corte infine, al paragrafo 69, “conclude che non ci sono circostanze speciali relative al rispetto dei diritti umani che richiedano di continuare a esaminare il ricorso, secondo l’articolo 37” della Convenzione.