Giorni fa, parlando a tu per tu con un importante esponente del Movimento 5 Stelle della questione manovra, ci siamo sentiti dire che “possiamo anche fare il 2,1 di deficit, non è qui la questione”. Lì per lì non l’avevamo preso sul serio, era molto prima del viaggio di Giuseppe Conte a Bruxelles, era prima che Salvini dicesse che non è questione di decimali. Avevamo ritenuto che fosse solo la riflessione di una persona delle istituzioni, che si rendeva conto, a titolo personale, che forse qualcosa per abbassare il livello dello scontro con il resto dell’Unione europea andava fatta.
Invece era l’anticipazione di una resa.
Perché questa sembra essere la posizione assunta dal governo italiano, maturata nel tempo e dichiarata nell’incontro tra Conte e Jean-Claude Juncker, nel quale il premier ha riferito la decisione dei suoi due “vice” di aprire un negoziato e durante il quale il presidente della Commissione ha informato il presidente del Consiglio delle condizioni minime perché questo potesse realmente aprirsi.
Tempo fa su questo giornale scrivemmo un pezzo dal titolo “La solitudine dei sovranisti”, un testo che si è dimostrato molto vero. Il governo italiano nonostante gli sforzi, in particolare di Matteo Salvini, di trovare alleanze tra i partner europei, è soltanto una nuova vittima della solitudine sovranista, così come lo è la Polonia, che si è presa una procedura di infrazione per questioni legate allo stato di diritto, e come lo è l’Ungheria. L’Italia lo stato di diritto ancora non lo ha toccato, ha provato a segnare la propria “libertà” partendo da una manovra economica che, come hanno fatto Varsavia e Budapest sullo stato di diritto, rompe alcune fondamentali regole dell’Unione.
Non le è stato concesso. Non da una maggioranza di Stati, non dalla Commissione, ma dall’unanimità degli Stati membri. E va notato che la prima capitale a scagliarsi contro l’Italia, è stata proprio Budapest, dove governa un sovranista che sarebbe un punto di riferimento per Salvini. E lo è, è sovranista fino in fondo Viktor Orban, e sa perfettamente che se l’Italia, con il suo peso specifico, va in crisi finanziaria, il rischio che tutta l’Unione vada in crisi è dietro l’angolo, portandosi appresso anche un taglio ai contributi con i quali l’Ungheria finanzia la sua vivace crescita economica (contributi già ridotti per via dei tagli dovuti alla Brexit). “Io faccio quel che mi conviene, senza occuparmi degli altri” è l’idea di base (sbagliata, anche dal punto di vista funzionale) dei sovranisti. Che la applicano a spese di chiunque, come ha fatto Orban con Salvini.
Il governo Lega-M5S nonostante i robusti proclami dei mesi scorsi dunque ha dovuto capire che non è in grado di realizzare indipendentemente da tutto e da tutti le cose promesse ai suoi elettori, ha capito che (come accadrebbe a qualsiasi altro governo) da solo non ha la forza di mettersi contro tutta l’Unione europea pensando di spuntarla. Remare controcorrente, mettere in discussione principi fondamentali dell’Ue vuol dire prendersi una procedura di infrazione, cosa in realtà anche sopportabile, non un vero problema, ma, nella particolare situazione finanziaria dell’Italia, fare una scelta “autarchica” vuol dire creare una serie di eventi e conseguenze che bloccherebbero la crescita, e i segnali sono già evidenti. E questo il governo, nessun governo, può permetterselo, perché metterebbe in discussione la sua stessa esistenza.
Il reddito di cittadinanza sarà rimodulato grazie a qualche accortezza, la contro-riforma delle pensioni dovrà cambiare. Il governo sta imparando che alla tavola europea e mondiale non ci si può sedere voltando le spalle agli altri commensali, sta capendo, vedi il sostanziale fallimento del vertice di Palermo sulla Libia, dovuto all’isolamento in cui l’Italia è stata lasciata dai partner Ue, che nel muro contro muro non ha chances di sfondare. Non perché è “un governo della Lega e dei Cinque stelle”, ma perché nessun governo può pensare di regolare da solo, e al meglio, i destini dei propri concittadini.