Bruxelles – E’ raro, durante un confronto parlamentare, vedere un primo ministro letteralmente circondato da oppositori: donne e uomini provenienti da ogni partito oggi pomeriggio hanno attaccato Theresa May che ha presentato a Westminster l’accordo di separazione dall’Unione europea siglato ieri a Bruxelles al vertice sulla Brexit.
In Aula hanno preso la parola praticamente solo coloro che si oppongono all’accordo o che hanno forti riserve su parte di esso, ovviamente i laburisti, ma anche i liberali, gli scozzesi, gli unionisti irlandesi, i tories brexiters e non brexiters… Un fuoco di fila, dal quale emerge una richiesta alla premier: “Dato che in quest’aula lei non ha una maggioranza a favore dell’accordo, qual è il suo piano B, lei deve avere un piano B per affrontare la situazione”. Lo ha detto la tory europeista Anna Soubry, e prima di lei il leader labour Jeremy Corbyn, il quale si è spinto a dire che “con un Piano B più morbido lei potrebbe avere l’appoggio dei Comuni”. L’idea è quella di un accrdo simile a quello della Norvegia con l’Ue in base al quale il regno nordico partecipa a Mercato unico e Unione doganale. “Non se ne parla – ha replicato May – perché quel tipo di accordo prevede anche il libero movimento delle persone”.
May non ha potuto accettare nessuna sollecitazione. La premier sa bene che da parte dell’Unione europea non c’è, almeno in questa fase, la volontà di riaprire il negoziato, e soprattutto sa bene che sui punti più delicati come il confine irlandese o i diritti dei cittadini l’Unione è ferma.
Neanche la data del divorzio può essere rinviata: “Lasceremo l’Unione europea il 29 marzo del prossimo anno”, ha risposto, secca, Theresa May a chi le chiedeva dell’eventualità di una “proroga” per poter negoziare ancora qualcosa.
E’ una campagna elettorale che parte male per May in Parlamento. Al momento le posizioni non si sbloccano, e dunque l’accordo non ha i numeri per passare. Le ipotesi in quel caso si accavallano, ma ora a Downing street e a Bruxelles non si considera nessuna alternativa, si è deciso di andare fino in fondo con questo testo, che giungerà al voto finale l’11 dicembre, dopo cinque giorni di dibattito in Aula. Se salterà si dovrà correrei ai ripari.