Roma – Pubblichiamo qui il testo integrale del messaggio del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, inviato ai partecipanti della tavola rotonda promossa da Eunews “How can we govern Europe?”, che si svolge oggi e domani mattina nei locali del Senato della Repubblica (segui qui la diretta).
Caro Direttore di EuNews,
Cari partecipanti alla quinta edizione dell’incontro “How can we govern Europe”,
Signore e Signori,
Per rispondere a sfide di portata epocale, come la gestione delle crisi migratorie, la sicurezza, la disoccupazione e il cambiamento climatico, serve un’Europa più politica, che sia davvero capace di dare risposte efficaci ai cittadini.
Una politica incapace di rispondere al diffuso senso d’insicurezza alimenta la rabbia e facilita il lavoro dei venditori di illusioni.
L’Europa non va distrutta. L’Europa va cambiata.
Per farlo, dobbiamo ripartire dalle conquiste importanti ottenute negli ultimi 70 anni e di cui siamo fieri.
All’indomani delle devastazioni, morali e materiali, del secondo conflitto mondiale, il progetto europeo è stato una storia di successo. Ci ha portato libertà, pace e prosperità durature, con democrazie basate sullo stato di diritto e frontiere aperte per la libera circolazione di persone, merci e capitali.
Statisti come De Gasperi, Schuman, Adenaur, Spaak, Monnet, Kohl, Mitterand o Gonzales, hanno saputo costruire sulla fiducia, sull’ascolto e sull’amicizia reciproca.
E’ anche grazie a loro se – dal 1957 al 2007 – i poveri sono scesi dal 41% al 14% della popolazione europea, e se la ricchezza delle famiglie è cresciuta di ben quattro volte, con una riduzione delle disuguaglianze che non ha eguali nella storia.
Gli ultimi 10 anni di crisi, tuttavia, hanno frenato questo processo virtuoso. E’ venuto in parte meno lo spirito di solidarietà tra Paesi, vero motore del processo d’integrazione.
La crisi innescata dai mutui subprime negli Stati Uniti, ha colpito le nostre banche e i debiti sovrani, con un impatto, per alcuni Paesi, equiparabile a quello di un conflitto bellico.
L’Italia ha perso 1/4 della base manifatturiera e 1/3 degli investimenti, tornando al livello di PIL degli anni ‘90. Per la prima volta da decenni, le nuove generazioni hanno prospettive peggiori dei propri genitori. Oggi, 23 milioni di europei tra i 15 e i 34 anni non studiano e non lavorano. 118 milioni – il 24% della nostra popolazione – sono a rischio povertà o esclusione sociale.
Si sta allargando la forbice tra i ricchi e poveri, e tra regioni arretrate e sviluppate. L’80% della nuova ricchezza va al 15% della popolazione più agiata. Questa crescita asimmetrica non crea sufficienti opportunità di lavoro, specie per i giovani.
L’economia globale ha seguito un trend analogo. Rivoluzione tecnologica, libera circolazione dei capitali, mercati sempre più aperti, hanno senz’altro favorito crescita e competitività. Ma hanno, anche, creato una concorrenza al ribasso su condizioni di lavoro, fisco o standard ambientali.
Flussi migratori incontrollati e manodopera a basso costo hanno penalizzano i più deboli. Gli stessi che, nelle periferie, vivono a contatto con i nuovi immigrati che stentano ad integrarsi.
E’ qui che affondano le radici della rabbia, del rigetto del globalismo, della ricerca di protezione, di aiuto, di difesa dell’identità da parte di molti europei. La rabbia di cui si nutrono le sirene populiste, i sovranisti, chi propone soluzioni tanto semplici e allettanti, quanto impraticabili.
Muri e frontiere appaiono “antidoti rassicuranti” contro una globalizzazione che sfugge al controllo dei cittadini. Ma queste ricette si rivelano velleitarie all’esame della realtà.
Chi propone di rafforzare la sovranità e promuovere gli interessi nazionali allentando o rompendo i legami con l’Unione, inganna gli elettori. Rappresentiamo meno del 7% della popolazione mondiale e il 15% del PIL globale. Nel 2050 il solo continente africano avrà 5 volte la popolazione della Ue. Nessuno Stato europeo può competere da solo con Usa, Cina, Russia o India.
Solo esercitando insieme, a livello Ue, una parte della sovranità nazionale, possiamo davvero proteggere i cittadini.
Difendere la nostra identità
Questo non vuol dire certo rinnegare le identità nazionali e l’amore per la Patria. Io sono europeo perché sono italiano. La mia identità affonda in tremila anni di storia europea e italiana. Un’identità che si è forgiata alle Termopili, a Platea, a Poitier, a Lepanto, con la filosofia greca e il diritto romano, con le Abbazie Benedettine, le Università, i Comuni, il Rinascimento, l’Illuminismo. Una storia indissolubilmente legata a quella del Cristianesimo.
Dobbiamo affermare e difendere, con orgoglio, questo patrimonio di identità e valori. Ma il patriottismo è altro dal nazionalismo, che è sentimento di superiorità della propria nazione sulle altre. Come diceva De Gasperi nel 1951: “Il nostro patriottismo non nasce dall’odio, ma dall’amore, cioè dal dovere della solidarietà e dalla fraternità”.
Solo se conosci e rispetti la tua identità puoi accogliere l’altro, accettare le sue differenze. E’ quello che noi italiani, noi europei, dobbiamo fare: avere una bandiera europea insieme alla bandiera nazionale. E non si difende quella nazionale distruggendo quella europea.
Difendere l’identità e i valori europei significa difendere, dentro e fuori l’Unione, la centralità della persona, la sua dignità, la sua libertà di espressione, di voto, di non essere perseguitati o uccisi per la propria fede o per la propria etnia, per la propria opinione politica. Difendere questi valori, ogni giorno, significa, ad esempio, battersi affinché, non solo gli assassini, ma anche i mandanti, degli omicidi di Dafne Caruana Galizia, di Jan Kuciak, siano perseguiti; perché Asia Bibi e la sua famiglia possano vivere liberi e in sicurezza.
Promuovere il cambiamento
L’arma più efficace per contrastare chi vuole distruggere la nostra Unione, sono risposte efficaci su immigrazione, sicurezza, disoccupazione o cambiamento climatico.
Con onestà, dobbiamo dire che quest’Unione è lungi dall’essere efficace. Ma distruggere quanto realizzato finora sarebbe un grave errore. Dobbiamo essere alfieri di un profondo rinnovamento non più rinviabile.
La prima riforma è quella del ritorno al primato della politica. I cittadini vogliono che a guidare la macchina siano i rappresentanti che hanno eletto.
Gli europei fanno fatica a capire perché il loro Parlamento sia l’unico al mondo che non può proporre leggi. O perché alcune competenze fondamentali, come quella fiscale, siano di fatto escluse dalla procedure di co-decisione in quanto soggetta all’unanimità in Consiglio.
Anche il bilancio deve essere più politico e riflettere le priorità dei nostri cittadini.
Se vogliamo sfruttare economie di scala e il valore aggiunto europeo, risparmiando a livello nazionale, dobbiamo avere risorse comuni all’altezza delle sfide che stiamo affrontando.
Il Parlamento europeo chiede un livello di risorse pari all’1.3% del Prodotto Nazionale Lordo. Questo senza aumentare le imposte già alte, ma facendo pagare chi oggi le tasse non le paga; a cominciare dai giganti del web e dai paradisi fiscali.
Queste risorse aggiuntive devono servire per più investimenti, sostenendo l’economia reale, le PMI, l’industria, l’agricoltura, i servizi, il turismo, un sistema di infrastrutture europeo moderno. Dobbiamo diventare lo spazio di ricerca e innovazione più importante al mondo, sostenere una formazione al passo con i tempi, accompagnare la rivoluzione tecnologica, puntare sull’economia circolare e la transizione energetica.
Per governare i flussi migratori e rimpatriare i migranti irregolari, sono indispensabili molte più risorse: un vero Piano Marshall per l’Africa e il rafforzamento delle frontiere esterne.
Per proteggere i cittadini abbiamo bisogno anche di investire di più in sicurezza, cyber sicurezza, e nello sviluppo di un mercato e un’industria europea della difesa.
Il voto sulla Brexit, la vittoria di Trump, il diffondersi di movimenti sovranisti fuori e dentro l’Ue, le guerre commerciali, ci impongono una riflessione sulla rotta da dare alla nave europea in un mare sempre più agitato.
Dall’inizio del mio mandato ho già accolto a Strasburgo 12 capi di Stato e di governo europei per discutere del nostro futuro. Due settimane fa, è stata la volta della Cancelliera tedesca, Angela Merkel, a cui seguiranno gli altri leader, tra cui il Primo Ministro Conte, fino alla sessione di Marzo.
La migliore risposta da dare a chi vuole distruggere l’Unione è ottenere risultati, senza i quali i cittadini ci volteranno le spalle. Sulla riforma di Dublino, che non può più aspettare; su un mercato interno più equo, dove tutti – anche i giganti del web – paghino le tasse e rispettino le regole; sulla protezione della creatività; sul completamento dell’Unione Bancaria; su una governance economica efficace e democratica; su un commercio aperto ed equo, dove si competa a parità di condizioni.
Dobbiamo batterci anche affinché la prossima campagna elettorale non sia contaminata da fake news mirate a manipolare la libertà dei nostri cittadini.
Voglio essere ottimista. L’ultimo Eurobarometro del Parlamento indica che un numero senza precedenti di cittadini dal 1983 ritiene positiva l’appartenenza all’Ue. Anche in Italia, oggi non certo tra i Paesi più euro entusiasti, vi è una maggioranza crescente del 57% che considera positivamente l’euro. Meno di 1/3 degli italiani vorrebbe uscire dalla moneta unica.
Il vostro convegno, oggi, offre l’occasione di compiere un’ulteriore riflessione sull’avvenire dell’Unione. Vi rivolgo, quindi, un sincero augurio di buon lavoro.
Antonio Tajani