Bruxelles – Non si mette bene per l’Italia, mai come in questo momento isolata in Europa su politiche di bilancio e agenda di riforme economiche. I partner europei hanno già bocciato la manovra del popolo, e gli stessi partner non hanno digerito le mancate correzioni che erano state chieste ad un testo ritenuto quasi sacrilego davanti a regole non rispettate.
Lunedì a Bruxelles si ritrovano i ministri economici dell’area Euro. L’Eurogruppo deve discutere di questioni diverse dalle legge di bilancio: unione bancaria, relazione su riduzione del rischio, liquidità per risoluzione ( cuscinetti di soldi per situazioni bancarie di crisi), backstop, riforma del fondo salva-Stati Esm, cooperazione di questo con la Commissione. L’Italia non è in agenda, ma sono in molti ad attendersi discussioni a margine o nelle pause dei lavori, anche perché i malumori sono diffusi.
Austria e Paesi Bassi hanno chiesto pubblicamente provvedimenti nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto degli impegni di riduzione di deficit e debito, ma chi segue da vicino questo dossier assicura che praticamente tutti sono convinti che questa manovra non sia accettabile. Come se non bastasse, il modo di fare dell’attuale governo indispettisce ancora di più. Grida, insulti, accuse, aggressività non aiutano a creare clima e umori di simpatia per un’Italia a questo punto messa nell’angolo come neanche la Grecia dell’allora coppia Tsipras-Varoufakis.
Mercoledì prossimo la Commissione europea pubblicherà i pareri sulle leggi di bilancio di tutti gli Stati membri. Visti i mancati cambiamenti italiani un’altra bocciatura della manovra tricolore è praticamente cosa fatta. Ma c’è chi è pronto a scommettere che il collegio dei commissari chiederà di discutere la situazione contabile, e di avviare la revisione del rapporto sul debito dell’Italia. “Probabile anche se non confermato”, confidano a Bruxelles. Se le cose stanno effettivamente così, l’iter per la procedura contro l’Italia si metterebbe in moto.
L’Italia avrebbe anche ragioni da vendere, come peraltro ha fatto. Se si guarda nel merito squisitamente tecnico sono almeno otto i fattori rilevanti che secondo l’esecutivo Lega-5 Stelle giustificherebbero una manovra come quella fatta recapitare a Bruxelles. Ci sono un rallentamento della crescita in tutta l’Eurozona e una situazione da tempo stagnante dell’economia in Italia che già da soli rappresentano fattori per promuovere misure di stimolo dell’economia. Il governo questo lo sostiene da tempo: misure depressive in momento di rallentamento rischiano di peggiorare il tutto. Un concetto espresso però con toni che non aiutano il confronto ma al contrario alimentano lo scontro.
Ci sono anche questioni più tecniche e per questo un po’ più difficili da discutere pubblicamente. L’italia continua da anni ad avere un avanzo primario, potrebbe essere sufficiente a produrre un sostanziale calo del rapporto debito/Pil, se solo gli interessi pagati sui titoli di Stato fossero allo stesso livello di quelli dei Paesi del nucleo centrale dell’Eurozona. Poi c’è per l’Italia l’inadeguatezza del criterio del cosiddetto “output gap”, la differenza fra crescita potenziale e crescita, che la Commissione usa per calcolare se la crescita reale di un paese si avvicini o no a quella teoricamente possibile.
Ci sono elementi di discussione che il precedente governo, con il continuo e paziente lavoro di Pier Carlo Padoan, aveva messo sul tavolo e che aveva utilizzato per cercare di riaprire il dibattito politico sulla modifica delle regole comuni. Un’eredità gettata via dall’attuale governo e dal suo modo di fare. Un dichiarato menefreghismo e una deliberata voglia di andare unilateralmente contro le disposizioni delle norme comuni non piace e non potrà mai piacere. Nei corridoi di Bruxelles chiariscono che l’umore generale non cambierà se l’Italia continuerà nel suo linguaggio e nel suo atteggiamento, e potrebbe anche peggiorare nei prossimi mesi. Non proprio il massimo, quando si dovrebbero cercare sponde e alleanze. L’Italia è isolata, e rischia di perdere la sua battaglia in Europa. Ammesso che l’intenzione sia mai stata quella di vincerla.