Bruxelles – Quella di oggi non è la tappa finale sulla Brexit. Anzi. Rappresenta il primo ostacolo (di una nuova serie) piazzato lungo un percorso tortuoso. Al momento si può dire soltanto che è stato raggiunto un accordo su un testo che, anche se vede l’approvazione della premier Theresa May e del resto dei negoziatori europei, adesso dovrà affrontare il giudizio, severo, in casa britannica.
Ieri è stato annunciato l’incontro di questo pomeriggio alle 14.00 (ora di Londra) tra l’inquilina di Downing street e i ministri del suo gabinetto. Neanche il tempo di avvisare che già si sono levate le voci di chi, primo fra tutti l’ex capo degli Esteri Boris Johnson, invita al blocco di un testo (sono oltre 400 pagine) “inaccettabile”. Non solo da fuori, ma anche dentro lo stesso governo la tensione è alle stelle e le previsioni pessimistiche (o realiste?) si sprecano.
Su Euobserver si parla di chi tira fuori i coltelli (“Knives out”) da ogni parte dell’arco politico, di membri già pronti a remare contro, paventando il rischio di un risultato “disordinato” che, tradotto, significherebbe un nulla di fatto.
Mark Francois, vicepresidente dell’European Research Group (che raggruppa circa una cinquantina di parlamentari Tory favorevoli a una hard Brexit) ha affermato di ritenere che oggi ci saranno alcune dimissioni di ministri, pur non precisando quanti. Sul Guardian si leggono le sue parole: “Noi e il resto del paese osserveremo con molta attenzione cosa accade oggi, ma sappiamo bene che molti membri si oppongono fermamente a questo accordo. E loro saranno costretti a guardare dentro al proprio cuore per decidere se per loro è più importante una Jaguar, una schiera di funzionari e l’appellativo di ‘ministro’ oppure il futuro del loro paese”.
Le premesse non sono delle migliori, ma il gabinetto è solo il primo ostacolo. Se May riuscisse a superarlo, magari anche glissando sulle dimissioni di membri dal peso non decisivo e portando avanti il suo (e il nostro, europeo) testo, dovrebbe allora affrontare il Parlamento. Ma questo solo dopo essere tornata nel Continente per un eventuale vertice straordinario con gli europei, da tenersi esclusivamente nel caso in cui oggi si raggiunga un esito positivo a casa, ovviamente. Il vertice potrebbe tenersi il 25 novembre, stando a varie fonti online che citano il premier irlandese Leo Varadkar, il quale lo avrebbe dichiarato ai parlamentari a Dublino.
A Westminster, al momento, la prima ministra non ha la maggioranza. Gli euroscettici del Parlamento sono già pronti a votare contro, anche i nord-irlandesi (gli alleati del Dup che tengono in piedi la maggioranza di governo) hanno espresso dubbi riguardo alle clausole previste per il loro pezzo d’isola.
L’alternativa a questo testo sarebbe il no deal, unica arma che sembra essere in possesso di May, la quale aveva già affermato nelle settimane scorse che o si accettava il suo accordo, o niente.
Ultima tappa del percorso, se tutto dovesse andar bene a Westminster: l’approvazione del Parlamento europeo. Arrivati qui, però, sembra già di poter cominciare a riprendere il respiro. Gli ostacoli dovrebbero essere esauriti, e fino al 29 marzo 2019 il cammino dovrebbe essere pianeggiante. Dovrebbe. Poi da lì partirebbe il periodo di transizione di due anni. Per il momento, si aspetta di sapere cosa accadrà oggi, poi chi vivrà vedrà.