Bruxelles – Ciò che accade in Italia con la mafia, spesso, non è compreso all’estero. La sentenza della Corte di Giustizia Ue, che condanna il nostro paese per aver violato i diritti umani del capo mafioso Bernardo Provenzano (sottoponendolo a trattamenti inumani e degradanti), dimostra che non si conosce il sistema mafioso italiano. Lo ha affermato oggi Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, nel corso del seminario di alto livello dal titolo Belgium & Italy: The fight against organized crime and terrorism, tenutosi oggi pomeriggio a Bruxelles, presso il campus universitario Vub.
“Per i capi mafiosi è normale impartire ordini fino all’esalazione dell’ultimo respiro. Ecco perché è stato necessario prendere determinate misure”. Per De Raho, in altre parole, “niente è violato nei diritti di chi ha sbagliato”, nei confronti dei quali (così come per i terroristi radicalizzati) sono previsti anche progetti di recupero all’interno delle carceri.
“L’Italia è attenta ai diritti umani, dobbiamo riconoscere quel che c’è di buono nel nostro paese e la nostra Costituzione è tra queste cose”, ha sostenuto De Raho. “Il regime speciale di cui al 41 bis e la sua introduzione nel nostro ordinamento è stata una necessità. Credo che gli altri paesi dovrebbero riflettere e guardare alla storia italiana, studiando il fenomeno della mafia e della ‘ndrangheta, verificando quali sono le modalità attraverso le quali vengono impartiti gli ordini e quali sono le regole interne alle cosche mafiose”.
Il procuratore parla in proposito anche della criminalità organizzata in Sud America, con i cui paesi l’Unione europea sta attualmente collaborando nell’ambito di ‘El Paccto’, progetto che vede l’Italia come una dei protagonisti assoluti. Non a caso, ovviamente: il nostro paese si è infatti dimostrato capace di fronteggiare le mafie anche tramite il sistema penitenziario, che nei paesi latinoamericani “spesso è controllato dalla stessa criminalità organizzata, che comanda all’interno delle prigioni”. Riconosciuto a livello internazionale, il nostro sistema a detta di De Raho funziona, e precisa: “Ogni paese deve provvedere ad adottare interventi che consentano di contrastare efficacemente il crimine organizzato”, il quale ha regole forti e rigorose per cui “uno Stato si deve preoccupare non solo di tutelare i diritti del detenuto, ma anche quelli delle persone che si trovano fuori da carcere, la società civile, che spesso viene soggiogata dalla mafia”.
In alcuni territori italiani, evidenzia il procuratore, la mafia comanda tutto. “In Belgio o in altri paesi europei si ha un riflesso talmente tiepido di quella che è la criminalità organizzata, che non consente di comprenderla completamente”. In alcuni paesi del sud italico, la cosca “comanda tutto, determina le elezioni, le attività economiche, impone le proprie imprese negli appalti. Si ha un vero e proprio sovvertimento della democrazia”.
“In Italia ci battiamo per ripristinare il rispetto delle regole, e proprio per far valere le regole sono morti tanti italiani”, conclude De Raho.