In tutta Europa, gli indicatori economici e sociali riflettono sempre di più l’incapacità dell’attuale progetto europeo di costruire un futuro prospero e condiviso da tutti i paesi. Nonostante il modello economico e sociale europeo presenti ancora dei vantaggi rispetto a quello statunitense o cinese, la sua erosione prosegue da diversi decenni a causa dell’impatto della globalizzazione, di politiche che trascurano la giustizia sociale e, sempre di più, delle recessioni scatenate dalla crisi finanziaria del 2008.
Il blocco dei salari e gli enormi divari causati dalla concorrenza salariale e dalla flessibilità del lavoro hanno esacerbato le disuguaglianze. In alcuni paesi la disoccupazione giovanile continua ad attestarsi a livelli elevati, costringendo intere generazioni altamente qualificate a cercare lavoro altrove, spesso loro malgrado.
La precarizzazione del lavoro riguarda soprattutto le nuove generazioni che vengono così private della possibilità di realizzare il proprio progetto di vita. La povertà che avrebbe dovuto ridursi colpisce oggi quasi un cittadino europeo su quattro e quasi un bambino su tre. Di conseguenza, sempre di più si diffondono sentimenti di sconforto e rabbia tra coloro che si sentono in balia delle trasformazioni dell’economia. La paura del peggioramento del tenore di vita che si sta diffondendo nella classe media contribuisce a sua volta ad alimentare le correnti populiste e autoritarie, che spesso giocano su queste paure focalizzando l’attenzione sulla questione migratoria.
Nel contesto di questa crisi sociale che dilaga pericolosamente e che spinge a rimettere in discussione i valori fondamentali alla base del progetto europeo, non possiamo che constatare una concentrazione sempre più vergognosa della ricchezza nelle mani di pochi. Il cittadino è messo regolarmente di fronte all’evasione e all’elusione fiscale ampiamente diffuse, che privano gli Stati di risorse, costringendoli a inasprire i tagli di bilancio soprattutto a scapito della sicurezza sociale e degli investimenti sociali.
Più della metà degli adulti europei ritiene che i propri figli avranno una vita più difficile della loro e un più elevato rischio di povertà in età adulta. Nella maggior parte dei paesi europei più di otto cittadini su dieci ritengono che le disuguaglianze di reddito siano esplose.
Questa crisi economica e sociale mina non soltanto il progetto europeo ma anche il sistema democratico e si sta trasformando in una vera e propria crisi politica.
Allo stesso tempo il nostro pianeta deve far fronte alla crisi mondiale del riscaldamento climatico e della sempre più rapida distruzione delle risorse naturali. L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) dimostra quanto la questione della decarbonizzazione sia divenuta urgente. Le sfide ecologiche richiedono interventi decisi, soprattutto per quanto riguarda la qualità dell’aria e l’inquinamento degli oceani e dei terreni causato dall’utilizzo eccessivo di alcuni fertilizzanti e di altri prodotti chimici. Queste derive dei nostri sistemi di produzione e di consumo minacciano le nostre società rischiando di innescare, a partire dalla crisi ecologica, altre crisi su scala mondiale. Sono inoltre fonte di nuove e crescenti disuguaglianze, poiché coinvolgono spesso in maniera sproporzionata coloro che sono già socialmente più vulnerabili. Attualmente i nostri sistemi di sicurezza sociale non tengono in adeguata considerazione la portata di tali disparità e non dispongono né delle risorse, né degli strumenti per farvi fronte. La necessaria transizione verso un modello di sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile e la rivoluzione tecnologica sempre più accelerata a causa della digitalizzazione e dell’automazione dell’economia, oltre ai progressi in ambiti quali l’intelligenza artificiale e la robotica, rischiano di sconvolgere in maniera permanente le nostre società e i nostri mercati del lavoro già messi a dura prova. Si rende quindi necessario realizzare una “transizione giusta” con ogni mezzo e in tutti i paesi europei.
Con l’avvicinarsi delle prossime elezioni europee non si può non constatare come l’azione dell’Unione Europea non sia all’altezza di questa crisi che ci colpisce a livello economico, sociale, ecologico e politico – quattro fronti che si alimentano a vicenda. Essa trae origine in larga misura da un elemento comune: il sistema economico che si è andato delineando nell’arco di diversi decenni di neoliberismo. Il postulato neoliberista ha largamente permeato i testi europei oltre che le politiche incentrate sul mercato piuttosto che sui cittadini. L’Europa ha avuto una reale opportunità da cogliere quando nel 2015 tutti i governi nazionali hanno sottoscritto alle Nazioni Unite gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Tuttavia ad oggi, né la Commissione Europea uscente, né i governi rappresentati nel Consiglio Europeo hanno intrapreso iniziative volte a innescare una vera trasformazione sostenibile delle nostre economie per adeguarle a tali obiettivi sul fronte economico, sociale e ambientale.
È a tale proposito che le prossime elezioni europee rivestono un’importanza storica. I prossimi cinque anni saranno decisivi, non soltanto per la lotta contro i cambiamenti climatici, ma anche per l’attuazione di politiche in grado di affrontare la crisi sociale ed economica, in modo da evitare che l’Europa piombi in una devastante crisi politica e democratica.
Alcuni vorrebbero ridurre la battaglia politica per le elezioni europee a uno scontro tra pro-europeisti e democratici da un lato e anti-europeisti e sovranisti dall’altro. I partiti nazionalisti xenofobi non chiedono di meglio. Questo approccio riduttivo al dibattito politico farebbe molto comodo non solo a questi partiti, ma anche a coloro il cui progetto politico, in fin dei conti, non è finalizzato ad altro che al mantenimento dello status quo. Ciò che occorre per rilanciare il progetto europeo è un netto cambiamento di rotta.
L’Europa deve dotarsi dei mezzi per difendere e recuperare il suo modello economico e sociale e per renderlo sostenibile. Deve tornare a identificarsi col suo impegno originale, ovvero benessere per tutti, nel rispetto dei limiti del nostro pianeta. Deve rispondere in maniera più efficace alle preoccupazioni dei cittadini che si sentono esclusi e che a causa di tale delusione si avvicinano a quel populismo che da sempre promuove politiche fallimentari.
Il cambiamento di rotta di cui l’Europa ha bisogno deve puntare alla realizzazione del benessere sostenibile per tutti dandosi i mezzi per conseguirlo, in particolare attraverso una maggiore democraticizzazione, anche nella sfera economica e sociale; politiche più ambiziose in materia di governance economica e finanziaria; un ampio programma di investimenti che consentano il successo delle grandi transizioni ecologiche e tecnologiche nell’interesse di tutti e che permettano la creazione di numerosi posti di lavoro di qualità; il consolidamento delle politiche sociali; una migliore distribuzione della ricchezza, soprattutto attraverso sistemi fiscali più efficaci e più equi; una transizione ecologica equa per tutti.
Dobbiamo urgentemente rimettere in discussione l’attuale modello del nostro sviluppo e proporre una via alternativa, incentrata su una società veramente sostenibile e giusta. In un mondo globalizzato, nessun paese europeo è abbastanza potente per promuovere da solo queste grandi trasformazioni, ma uniti possiamo farcela. È qui che si incontrano il destino europeo e quello della sinistra. La concomitanza della loro crisi non è una mera casualità. I partiti socialisti, socialdemocratici e i movimenti sindacali hanno svolto un ruolo decisivo nel dopoguerra nella costruzione dell’Europa e nel garantire pace e prosperità. Ora, di fronte ai pericoli e al loro stesso declino, devono ritrovare un nuovo slancio. Facciamo appello alla sinistra europea affinché sia all’altezza di questa nuova sfida storica e affronti le elezioni europee con un vero progetto per una società giusta e sostenibile al fine di superare le crisi – quella europea e la sua.
Poul Nyrup Rasmussen, ex presidente del Partito Socialista Europeo ed ex Primo Ministro della Danimarca
Nicolas Schmit, Ministro del lavoro, dell’occupazione e dell’economia sociale e solidale del Lussemburgo
Luca Visentini, Segretario Generale della Confederazione Europea dei Sindacati