Bruxelles – E’ il modello di produzione ecologicamente e socialmente sostenibile. In una parola, bio-economia. I modi per tradurla in pratica sono più di uno, sono tanti, tutti diversi. Tanto che per la Commissione europea sarà una delle chiavi del futuro. “Stimiamo che le industrie della bio-economia possono generare fino a un milione di nuovi posti di lavoro entro il 2030”, riconosce il commissario per l’Agricoltura, Phil Hogan, nel corso della conferenza sul tema organizzata dall’esecutivo comunitario a Bruxelles. “Allo stesso tempo la bio-economia darà un forte contributo nel raggiungimento dei nostri obiettivi di energia rinnovabile per il 27% nel 2020 e per il 32% nel 2030”.
Perché questo sia possibile però occorrerà investire sempre di più, perché quando si parla di bio-economy “un elemento chiave della strategia consiste nel rendere le soluzioni innovative e le ricerche pertinenti più ampiamente disponibili per gli utenti finali: in altre parole, agricoltori, silvicoltori, imprese rurali e la popolazione rurale in generale”. Tutto questo implica due cose: politiche pensate per gli operatori del settore, e politiche di sostegno al settore. Da una parte, sottolinea Hogan, la bio-economia “non può avere successo senza il ruolo degli agricoltori”, e per questo “dobbiamo incentivare gli stakeholder dell’agricoltura”. Dall’altra parte servono risorse, e in tal senso la Commissione Ue, per il prossimo bilancio pluriennale 2021-2027, dei 100 miliardi per il programma di ricerca che propone, ne intende destinare un decimo (10 miliardi) alla bio-economy.
Hogan non ha dubbi che la bioeconomia, “se gestita correttamente”, può giocare un ruolo importante in più ambiti. “Stimolerà l’economia rurale e contribuirà certamente alla sfida climatica. Ma oltre a ciò, creerà nuove catene di valore agricole integrate, che amplificheranno la coesione economica rurale”. In questo l’Italia può già vantare di essere un esempio di successo. In Sardegna è partito il progetto ‘First2Run’, che vede una una bioraffineria integrata per le colture secche. Per Hogan “questo è un eccellente progetto di punta della bio-economia”. Gli agricoltori producono cardo su terreni marginali, per raccolti a basso input che cresce in condizioni aride. I semi del cardo possono essere utilizzati per la produzione di olio e la biomassa della pianta può essere utilizzata per ottenere cellulosa ed emicellulosa.
Se a livello europeo si ragiona e si lavora allo sviluppo della bio-economy (per il settore primario c’è già uno strumento specifico, l’Eip, il Partenariato di innovazione per l’agricoltura sostenibile), “c’è ancora molto lavoro da fare”. A livello nazionale, ricorda Hogan, “nonostante il numero di strategie nazionali per la bioeconomia sia aumentato, molti Stati membri rimangono senza”. E’ dunque “imperativo” colmare i ritardi.