Bruxelles – Per la solidarietà europea in materia di immigrazione è davvero la fine. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani per trovare una via d’uscita, invita i leader ad accogliere le richieste di quei Paesi che rifiutano l’idea di quote obbligatorie di richiedenti asilo (tra cui l’Ungheria, “alleata” di Matteo Salvini). E’ l’Europa che abbandona il sogno della solidarietà e dell’accoglienza e che diventa realista. Tajani, parlando ai capi di Stato e di governo dell’Ue nel secondo giorno di lavori del Consiglio europeo, offre una proposta di real-politik: nell’impossibilità di trovare un accordo, si trovi un altro tipo d’intesa.
“Sulla riforma del regolamento di Dublino ho chiesto ai leader che si faccia in fretta, e che si voti a maggioranza qualificata, se serve” a superare l’impasse. Non solo. Per aggirare le resistenze di quanti non vogliono farsi carico di quanti mettono piede nei Paesi di primo arrivo, “i Paesi che non accettano il reinsediamento devono contribuire in modo più sostanzioso in investimenti per l’Africa”.
E’ una proposta concreta quella di Tajani, secondo cui “meglio di una riforma con compromesso che una mancata riforma” del sistema comune di asilo. Ma è di fatto il fallimento dell’unità europea. Una resa, pur condizionata, ai Paesi di Vysegrad (Repubblica ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria) sordi a ogni richiesta di collaborazione, una resa quasi obbligata di fronte alle intenzioni della presidenza austriaca di turno del Consiglio, responsabile fino a fine anno della gestione dei lavori sul tema, di mettere da parte l’idea di uno schema di quote.
“Proporrò il principio della solidarietà obbligatoria nel senso che ognuno contribuisce, ma che questo contributo può avere forme e forme diverse”, le dichiarazioni d’intenti del cancelliere austriaco, Sebastian Kurz. Una soluzione che non potrà piacere all’Italia, di fatto ancora lasciata sola.