Roma – Siamo molto lontani dal 2015. Quell’anno il mondo si impegnò per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile e siglò l’Accordo di Parigi sul clima, promettendo di porre fine alla povertà estrema, di affrontare la diseguaglianza corrosiva, di promuovere la pace e la prosperità, e di fermare il cambiamento climatico. Ora, nel 2018, già guardiamo al 2015 con nostalgia. Fu il momento più alto del multilateralismo, messo poi in ginocchio dall’ascesa del populismo e della ‘democrazia illiberale’. Improvvisamente, si direbbe, siamo costretti a trovare nuovi modi per recuperare l’ordine basato su regole globali.
L’elogio del multilateralismo
L’Unione europea ha un forte interesse a difendere il multilateralismo. Infatti, il suo potere economico come mercato più ampio al mondo riposa su un commercio e su una finanza regolamentati; e la sua forza politica richiede lo stato di diritto. Nella sua dimensione esterna, l’Unione europea è il più grande donatore di aiuti al mondo ed è un fondamentale difensore dei diritti umani. Per ciò che riguarda la dimensione interna, l’Ue ha bisogno di salvaguardare i suoi valori e la sua capacità di lavorare insieme.
Sin dall’inizio l’Unione europea ha abbracciato una forma di multilateralismo che non fosse mera collaborazione finalizzata a un limitato interesse personale, ma in cui piuttosto i vantaggi reciproci dalla cooperazione potessero rendere il tutto maggiore della somma delle sue parti.
Oggi le sfide globali richiedono un’azione globale. Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile ci forniscono una cornice in cui agire. Per l’Unione europea ci sono cinque priorità.
Le cinque priorità
Primo, contribuire a realizzare una globalizzazione equa e inclusiva, che faccia ricadere i benefici del commercio giusto e dell’investimento sui cittadini dentro e fuori l’Unione. Per molti Paesi che hanno iniziato a sottrarsi alla povertà di lungo periodo, la chiave del successo è stata quella di impegnarsi nell’economia mondiale attraverso il commercio: per questo motivo, le regole e le facilitazioni del commercio hanno bisogno di ricoprire un ruolo centrale. Combattendo la diseguaglianza a livello globale e nell’Unione europea, è possibile incoraggiare la prosperità economica di lungo periodo e la stabilità sociale.
Secondo, progettare la rivoluzione della sostenibilità indispensabile per scongiurare gli impatti micidiali del cambiamento climatico. L’Unione europea gioca un ruolo essenziale in materia di sviluppo e ridimensionamento degli investimenti, della tecnologia e delle politiche necessarie a raggiungere cambiamenti importanti in tema di energia, acqua, agricoltura e consumi; come anche nel supporto alle azioni vitali per adattarsi alle temperature più elevate, all’innalzamento del livello del mare, alle condizioni metereologiche irregolari, agli eventi atmosferici estremi.
Terzo, sapere gestire i conflitti, investire nella prevenzione, impiegare mezzi civili e militari al fine di sostenere la stabilità e la costruzione della pace, e mettere in atto a livello internazionale azioni volte a limitare la vendita di armi. Pertanto un nuovo sviluppo nella cooperazione deve riguardare il modo di gestire le complesse minacce alla sicurezza, come quelle che si trovano in Sahel o in Myanmar, e gli impatti della guerra sulla popolazione civile in Paesi come lo Yemen o la Siria. Non possono esserci vittorie semplici o impegni di breve durata: i passi avanti richiederanno tutte le arti della diplomazia e della difesa, oltre che l’aiuto umanitario e allo sviluppo.
Quarto, spostare la politica di immigrazione oltre la ‘fortezza Europa’, rispettando i diritti dei rifugiati, riconoscendo i molteplici benefici della migrazione legale, sicura – non solo per i migranti stessi – , ricordando che la migrazione tende a crescere, non a diminuire, nei primi stadi dello sviluppo economico: investire nei Paesi di origine contribuirà a ridurre la pressione migratoria, ma solo nel lungo periodo.
Quinto, promuovere i diritti umani e le regole democratiche sia nell’Unione europea sia a livello globale.
Il ruolo dell’Unione
Non è assiomatico che l’Europa possa essere lo strumento adatto in ognuno di questi contesti. I Paesi europei devono sostenere il lavoro della Nazioni Unite, e di altre organizzazioni come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. L’Europa deve sempre far sentire le proprie ragioni!
In ogni caso l’Europa porta avanti numerose iniziative e ha raggiunto dei risultati di cui essere orgogliosi: si è impegnata per garantire la democrazia e l’affidabilità delle istituzioni; complessivamente, è il maggior donatore di aiuti del mondo; contemporaneamente, è pioniera nell’azione sul clima; porta avanti una politica commerciale d’avanguardia, attenta agli standard in materia di diritti sul lavoro e di norme ambientali; ha accumulato esperienza nel campo delle missioni di sicurezza civili e militari.
Inoltre, le azioni che l’Europa stessa mette in atto al suo interno definiscono le prospettive per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Ad esempio, l’eliminazione graduale nell’utilizzo del carbone all’interno dell’Unione europea è proprio ciò di cui le Isole Marshall e altri Paesi vulnerabili a livello climatico hanno bisogno e ci chiedono di fare.
Dunque, c’è molto da fare e ci sono tante scelte da fare. Il bilancio europeo per il 2027 viene negoziato in questo periodo. Ed è previsto un Vertice per maggio 2019 a Sibiu, in Romania, destinato ad avviare un processo di rinnovamento europeo. Sempre a maggio si svolgeranno le elezioni del Parlamento europeo. Non c’è un’unica e indiscussa tabella di marcia. Ma questi processi inter-connessi servono a discutere future alternative e a sbozzare alternative politiche e finanziarie. Alla fine dell’anno ci sarà, dunque, un’agenda per la nuova Commissione europea. Tutto ciò non potrà ridursi a una vuota e astratta discussione sull’avere più o meno Europa. La nostra visione di multilateralismo positivo ha bisogno di impegni concreti. Questo è ciò che dobbiamo chiedere ai leader nazionali, ai deputati del Parlamento europeo e alla nuova Commissione.
Questo articolo, tratto da Affarinternazionali.it, è stato firmato dai direttori di tutti i think tank che partecipano allo European Think Tank Group (ETTG)
Traduzione dall’inglese di Ilaria Lang, ha collaborato Virginia Volpi