di Ferdinando Nelli Feroci, Franco Bruni
Con l’approvazione della nota di aggiornamento del Def, il governo ha definito le linee della strategia economica e di finanza pubblica per i prossimi tre anni. Su questa base, il governo dovrà presentare il progetto di legge finanziaria entro il 15 ottobre. A partire da quella data inizierà ufficialmente un confronto/dialogo con la Commissione europea che entro la fine di novembre dovrà valutare la compatibilità della legge di bilancio con le regole in vigore in materia di disciplina di bilancio e con gli impegni assunti in precedenza dall’Italia. Nel frattempo il confronto informale con la Commissione è avviato in un clima di tensione tutt’altro che promettente e l’aumento dei tassi sui titoli del nostro debito pubblico e dello spread segnalano che la reazione dei mercati alla nostra programmazione di finanza pubblica è di una certa apprensione.
Sulla cosiddetta manovra “del popolo” si scrive molto e prevalentemente con toni critici e preoccupati. Preoccupa infatti che il governo abbia deciso di finanziare prevalentemente in deficit le misure di riforma previste dal contratto di Governo e che abbia di conseguenza fissato il deficit programmato del 2019 al 2,4% del Pil. L’intenzione di contenere maggiormente il disavanzo dei successivi due anni è basata su discutibili previsioni di crescita e sulla mancata sterilizzazione delle clausole di salvaguardia sull’Iva.
Misure che preoccupano
Preoccupa soprattutto l’impatto sull’economia del Paese delle varie riforme proposte: dal reddito di cittadinanza (di cui si conosce ancora molto poco), alla pace fiscale, alla riforma della Legge Fornero, alla sia pure modesta riduzione del carico fiscale per alcune categorie di contribuenti. Preoccupa la circostanza che le misure proposte siano in gran parte destinate a ridistribuire ricchezza piuttosto che a crearne e a migliorare la produttività. Non è chiaro se una politica prevalentemente redistributiva possa determinare l’accelerazione della crescita prevista, oltretutto in una fase di incertezza della congiuntura internazionale. Preoccupano gli accenni per ora molto vaghi a un piano di investimenti pubblici, per il quale non è chiaro se ci saranno o meno risorse aggiuntive rispetto a quelle già previste e accantonate. Preoccupa infine la molto concreta possibilità che alla prova dei fatti i deficit programmati non bastino per finanziare tutte le promesse del programma dei due partiti della maggioranza e che perciò possano riemergere tentazioni di andare oltre.
Premesso che un giudizio articolato sarà possibile solo una volta disponibili i dettagli dei provvedimenti previsti dal Def, qualche riflessione si può fare anche a questo stadio. L’obiettivo dei due partiti della maggioranza sembra essere quello di dimostrare che il programma su cui il governo si è formato è realizzabile. Poco importa che i due partiti abbiano diverse priorità all’interno del programma né che nella fase convulsa delle ultime trattative sul Def uno dei due abbia incassato più consensi dell’altro. In questo senso la discussione sulla manovra è apparsa come la prosecuzione di una campagna elettorale mai di fatto conclusa e come l’anticipo della campagna per le elezioni europee. Per ottenere questo risultato i due partiti si sono trovati d’accordo sulla necessità di superare gli impegni assunti in materia di disciplina di bilancio e di sfidare apertamente i mercati e la Commissione europea.
Una partita interna all’esecutivo
La partita che si apre in questa fase è tutta interna al governo. Vedremo prossimamente se prevarrà la linea del dialogo con Bruxelles. L’idea potrebbe essere quella di sostenere con ogni possibile argomento che la manovra produrrà crescita e per quella via riduzione del rapporto debito pubblico/Pil. È augurabile che invece non prevalga la linea di un confronto/scontro non solo con la Commissione ma anche e soprattutto con i mercati, un atteggiamento che potrebbe essere la premessa per rimettere in discussione la stessa appartenenza dell’Italia all’eurozona.
La prima linea è quella che caratterizza spesso le dichiarazioni rassicuranti del ministro Giovanni Tria e del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Gli argomenti sono noti: aspettate a giudicare, la legge di bilancio chiarirà molti equivoci, ci sarà un importante piano di investimenti pubblici, le misure proposte produrranno un aumento del Pil rispetto alle previsioni, alla fine il debito pubblico si ridurrà. La seconda linea, sostenuta da altri esponenti dell’esecutivo Cinque Stelle/Lega, è invece un azzardo radicale: queste misure erano nel programma di governo e vanno realizzate, poco importa se aumentando il deficit, le regole europee vanno cambiate, basta con l’austerità, e se non saremo ascoltati c’è sempre la possibilità di un piano B.
I pre-posizionamenti tattici cui abbiamo finora assistito mostrano le diverse sensibilità all’interno dei due partiti della maggioranza. Vedremo nelle prossime settimane quali ragioni prevarranno e come le diverse tendenze troveranno sintesi nella scrittura della legge di bilancio.
Il dilemma di Bruxelles
Nel frattempo la Commissione non ha mancato di manifestare comprensibili preoccupazioni. Il commissario per le Politiche economiche e monetarie Pierre Moscovici e quello per la Stabilità finanziaria Valdis Dombrovskis, nonché lo stesso presidente Jean-Claude Juncker hanno anticipato che le cifre indicate nel Def italiano sembrano configurare una deviazione significativa dagli obiettivi di medio termine e una sostanziale violazione degli impegni assunti dal nostro Paese.
Ma quando si arriverà al dunque (non prima di fine novembre), la Commissione si troverà confrontata con un difficile dilemma. Se proporrà di avviare una procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronto dell’Italia, come allo stato attuale sembra assai verosimile, e come sembrerebbe derivare dall’esigenza di un minimo rispetto delle regole, rischierà di fornire un provvidenziale “assist” alle due forze politiche che sostengono il governo che troveranno un ulteriore argomento per attaccare l’Unione europea in vista del confronto elettorale del prossimo maggio. Se deciderà di soprassedere consentendo al governo italiano i tempi supplementari per dimostrare che la manovra produrrà crescita, sarà sottoposta alle critiche dei Paesi rigoristi e rischierà di delegittimare regole in materia di disciplina di bilancio già oggi molto discusse.
In attesa che si pronuncino anche le agenzie di rating, le cui valutazioni potrebbero avere serie ripercussioni sulla sostenibilità del nostro debito, una conseguenza sembra comunque inevitabile visto l’atteggiamento del Governo italiano. Se le prospettive di completamento dell’unione bancaria e della “governance” dell’euro erano già molto modeste e le riforme proposte ancora molto controverse, ora che una delle maggiori economie dell’Eurozona pare sfidare apertamente regole e istituzioni comuni, temiamo che verrà meno del tutto quel minimo di fiducia reciproca che costituisce la condizione irrinunciabile per realizzare quelle riforme.
Articolo tratto dall’Osservatorio Iai/Ispi sulla politica estera italiana.