Bruxelles – L’Italia non fa notizia da anni, eppure fa parlare di sé. Notizia è per definizione qualcosa di nuovo, un qualunque evento o avvenimento che rompe o modifica una situazione pre-esistente. Da questo punto di vista la Penisola è noiosamente coerente e fedele a sé stessa. Economia debole, debito alle stelle, necessità di tenere i conti in ordine nel rispetto delle regole sottoscritte in Europa. Basta riprendersi le previsioni economiche invernali che la Commissione europea rilasciò nel 2013, e sottolineiamo 2013, per vedere che già all’epoca si parlava di “declino della produttività” e necessità di “posizione di bilancio equilibrata”.
Ma tant’è. Nelle interviste le domande sono di rito e le risposte d’obbligo, anche se i contenuti sanno di trito e ritrito, anche se questa volta forse c’è qualche preoccupazione in più. A margine della conferenza del Fondo monetario internazionale (Fmi) a Bali, il commissario Pierre Moscovici tornata a ripetere a Bloomberg che “il vero problema dell’Italia è aumentare la produttività”, guarda caso quello che sosteneva il suo predecessore, cinque anni fa. “Per decenni la produttività italiana è stata troppo debole, e il risultato è una ripresa minore” degli altri Paesi dell’eurozona. Dato questo, lontano dall’essere uno scoop. Si può leggere anche nei documenti di lavoro della Commissione datati 2016. Sì, 2016. Già allora si poteva leggere che in Italia “la ripresa resta indietro rispetto a quella dei paesi partner”
Sorprende ancora Moscovici, quando dice cose che dovrebbero essere ovvie da almeno cinque anni. Perché quello che il commissario dice oggi a Bali è lo stesso che la Commissione ripete almeno dal 2013. E allora forse la notizia è qui: l’Italia ha fatto poco o niente in questi anni, se Moscovici torna a insistere sempre sulle stesse cose. “Non c’è solo il deficit nominale, anche il deficit strutturale va ridotto”. E ancora: ci sono “regole stabilite da tutti gli Stati membri”. Una frase già sentita, ma che oggi sembra nuova. Forse perché in Italia non si vuol sentire.
Arriva dunque l’avvertimento, non nuovo neppure questo per la verità, di possibili bocciature della manovra. “Non abbiamo bocciato la legge di bilancio dell’Italia”, ricorda Moscovici spiegando l’ovvio. Non si può rigettare un documento che non c’è. Quando arriverà si vedrà, e solo allora in caso si potrà rispedire al mittente. Ma all’Italia ricorda che dagli annunci e dalle intenzioni espresse “c’è il rischio di deviazioni significative, perché a prima vista non rispetta le regole”, quelle regole di cui sopra, decise da tutti.
Breve promemoria: i target deficit/Pil al 3% e debito/Pil al 60% sono lì dal 1992, da quando vennero stabiliti per la prima volta dal trattato di Maastricht. Nel corso dei decenni la legislazione comunitaria ha incardinato questi stessi parametri nella norme successive, prima il patto di stabilità (1997), quindi nella revisione dello stesso (il six pack del 2011), poi nel Trattato sulla stabilità o ‘Fiscal compact’ (2012). Nulla è cambiato in sostanza. L’Italia non rispettava le regole allora, non le rispetta oggi.
“Le regole sono il mio manuale”, dice Moscovici, che da Bali richiama ancora una volta l’Italia all’ordine. E’ suo dovere farlo in quanto guardiano dei Trattati, e quindi garante del rispetto delle regole. Ma poi perché forse in Italia qualcuno non capisce. “Al governo italiano piace parlare di manovra del popolo contro quei burocrati che stanno a Bruxelles”, premette Moscovici. “Io non sono un burocrate”, e comunque sia “chi è chiamato a restituire il debito? Gli italiani, non certo i burocrati qui a Bruxelles”.
In sintesi, la solita solfa. Si chiede all’Italia di rispettare le regole. Perché è tenuta a farlo finché le regole sono quelle e non verranno cambiate. Si torna a chiedere all’Italia di adeguarsi anche perché a ripetere le stesse cose per anni si scade nella noia.