Chiamiamoli sovranisti, accomuniamoli ai “populisti”, ai “nazionalisti”, agli “antiUnione”, ai “democratici illiberali”. Sono cose diverse, storie politiche diverse, alcune più vicine alla democrazia come intesa in senso tradizionale, altre molto meno, ma in comune hanno soprattutto una cosa, prima ancora di voler rivoluzionare l’Unione europea: sono forze politiche del “prima noi”. “Prima gli italiani”, “Prima i francesi”, “Prima gli ungheresi”, “Prima i catalani” e via dicendo, su varie scale di organizzazione democratica.
I più interessanti sono quelli che hanno in mente una nuova forma di democrazia, quella del “popolo che è sovrano” che viene tradotto in “noi rappresentiamo e interpretiamo la volontà del popolo e dunque la realizziamo, senza confrontarci con altri poteri o altre rappresentanze”. E’ vero, anche la Costituzione italiana riconosce la sovranità del popolo, specificando che “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La prescrizione è evidente, al di là di quel che afferma una costituzione che può essere modificata, il principio di base che la nostra Carta prescrive e che non può essere modificato è che la sovranità la si esercita secondo delle regole (“forme e limiti”) che devono esserci e non impossessandosi arbitrariamente del potere, neanche da parte della maggioranza del “popolo”. Ma questo è un altro discorso, sebbene sia utile tenere a mente tutto l’articolo 1 della Costituzione e non solo qualche parola.
Dunque le forze che si oppongono, spesso anche con qualche ragione fondata, ai partiti tradizionali per lo più mettono al centro della propria azione politica l’interesse dei propri concittadini. E’ giusto, è dovere di ogni governo occuparsi del benessere del proprio popolo, ma da nessuna parte è scritto che questo possa avvenire a discapito di altri ed anzi, le norme europee prevedono che i cittadini dell’Unione siano trattati praticamente sempre come i propri concittadini, e che le scelte che fanno i Paesi dell’Ue siano sempre improntate a migliorare il benessere collettivo, di tutti. Tanto che la Gran Bretagna, per evitare di avere troppi italiani, polacchi, rumeni, portoghesi o francesi che vanno a stabilirsi nell’Isola, ha dovuto decidere di lasciare l’Unione. Sbagliano, avranno un futuro disastroso, ma pensano di avere (in realtà hanno avuto in passato) la forza di stare da soli.
Dunque ognuno mette sé stesso prima, il che di fatto impedisce di stringere alleanze vere, “assi” con altri, se non su singoli, specifici temi sui quali esiste un immediato interesse comune.
Per questo ieri l’incontro tra Matteo Salvini e Marine Le Pen è stato più una sorta di canto del cigno dell’unione europea dei “sovranisti”, e non il punto di partenza di un’onda lunga che travolgerà la vecchia politica (o la nuova di Macron). Perché queste forze non possono, proprio no, stare strutturalmente insieme. Non possono neanche arrivare a indicare un loro candidato comune alla presidenza della Commissione europea prima delle elezioni, nella forma dello spitzenkandidat, perché, a livello europeo, non esiste un “Partito dei sovranisti”, come esiste un “partito popolare” o un “Partito socialista” o un “partito dei Verdi”.
Non esiste perché non può esistere, su larga scala, perché ognuno ha interessi contrastanti da difendere rispetto ai suoi potenziali alleati. Ad esempio, l’imprescindibile Orban, campione del sovranismo al governo da 15 anni, e non da 15 settimane come Salvini, da una parte ha lasciato a piedi l’amico leghista sul fronte migranti, perché, come scrivemmo, ha interessi totalmente divergenti da quelli italiani, ma poi Orban sta nel Ppe, e dunque lì dentro farà valere il suo peso, e forse neanche dopo elezioni forse pure disastrose (ma non lo saranno) per i popolari lascerà il più grande partito europeo, ma cercherà piuttosto di condizionarlo, su basi molto diverse che la considerazione dell’allenza con la Lega italiana.
Quindi l’annuncio dell’alleanza europea Salvini l’ha fatto con Marine Le Pen, che è una perdente. Di successo, ma perdente. Nonostante anni di allenamento, di presenza elettorale, di presenze in Tv, nonostante una presidenza della Repubblica disastrosa come quella di Hollande, è riuscita a perdere contro uno che ha messo su un partito nel giro di qualche mese, che non ha una storia politica paragonabile alla sua. Semplicemente i francesi, fino ad oggi, non l’hanno voluta.
Ed allora è lei che va da Salvini, alla riunione di un sindacato minore (nel senso di piccolo) in una stanzetta, per dire che hanno un radioso futuro insieme e che avranno candidati comuni “se possibile”, precisa Salvini. Contenuti zero in sostanza, un accordo non c’è, quando gli altri grandi partiti europei hanno già i loro candidati per l’appuntamento di maggio 2019.
Non di meno questi partiti che accomuniamo (arbitrariamente ma per semplicità) sotto il nome di “sovranisti” avranno un successo alle prossime elezioni europee. Non vinceranno, non saranno maggioranza, dicono i sondaggi, ma di certo indeboliranno l’attuale maggioranza e costringeranno i partiti “tradizionali” a nuovi patti tra loro se vorranno continuare a guidare, per quanto sarà possibile, le istituzioni europee. Ricordiamo che la Commissione è composta da membri scelti dagli Stati, non da altri, e dunque ogni governo può imporre un po’ chi vuole, e lì l’effetto dei governi “sovranisti” si sentirà inevitabilmente.
Il fatto è però che queste nuove forze non saranno in grado di rinnovare l’Unione, se non nel senso di farne qualcosa di nuovo, ma molto meno funzionante, in ogni senso.
Che interessi in comune hanno, per tornare all’esempio che ci è più noto, Italia e Ungheria intesi come Stati sovrani, e non come partner di una comunità a 27, che ad esempio ha regole di bilancio comuni? Non hanno in comune la moneta, l’Italia ha 60 milioni di abitanti e l’Ungheria 10, l’Italia ha un Pil che gira, nelle migliori ipotesi, attorno all’1% e l’Ungheria supera abbondantemente il 4% (grazie ai trasferimenti dell’Ue, mentre l’Italia è un contributore netto), l’Italia è un approdo facile per i migranti mentre l’Ungheria è una fortezza. L’Italia è ancora una democrazia “tradizionale”, l’Ungheria sta perdendo i connotati della democraticità…
Non faranno l’interesse dei loro cittadini non per mancanza di volontà, ma perché non riusciranno a trovare una politica da condividere, se non su piccole cose. E con le piccole cose non si fanno crescere grandi (o piccoli) Paesi.