Bruxelles – Una crisi finita motivo di una crisi senza fine. Una gestione errata da parte della politica che ha condannato la classe politica. Pierre Moscovici fa una riflessione profonda dell’Europa e dei suoi mali, frutto, dice il commissario per gli Affari economici, di sbagli di cui nessuno si è reso conto. L’Unione europea di oggi è la diretta conseguenza di un percorso autodistruttivo. “C’è un asse illiberale e nazionalista che si consolida”, soprattutto in Europa centrale, mentre “l’Unione europea si sta muovendo lentamente e, va detto, è prossima a un punto morto”. L’intervento di Moscovici alla conferenza dell’Ocse di Parigi assume i connotati di un vero e proprio ‘de profundis’ per l’Europa, alle prese con “una crisi politica, potenzialmente molto più pericolosa perché minaccia la stessa sopravvivenza dell’Unione europea”.
Moscovici ricorda il fallimento di Lehman Brother’s, avvenimento chiave della storia recente perché manifestazione della più grande crisi economico-finanziaria dopo la grande depressione. Dieci anni dopo, l’Ue e l’Eurozona sono solide e vive. Il commissario sottolinea gli sforzi per gestire la crisi economica. Ma se questa viene considerata chiusa, non si nasconde che la cura offerta ha generato un nuovo male, più difficile da curare. Lo scetticismo nei confronti dell’Ue e del progetto di integrazione. Moscovici riconosce che sono stati almeno due gli errori commessi in questi anni. “Aver privilegiato l’efficacia della decisione economica nella rappresentatività della decisione democratica” e “non aver saputo proteggere i cittadini europei più vulnerabili”. Tradotto: troppa attenzione ai vincoli di bilancio e poca all’economia reale. E’ l’ammissione del fallimento politico dell’Europa, a cui gli europei hanno risposto sempre più con forze sovraniste.
E’ il caso dell’Ungheria, è il caso dell’Italia. “Anche gli italiani hanno scelto un governo decisamente euroscettico e xenofobo che, sulle questioni migratorie e di bilancio, sta cercando di sbarazzarsi degli obblighi europei”. Ma c’è dell’altro. Quando non sono in carica, gli estremisti “ricoprono posti chiave nei governi di coalizione, come in Austria, o spesso fungono da prime forze di opposizione, come in Francia”. Un problema. Perché il l dialogo tra gli estremisti e le parti moderate “diventa sempre più complicato”, e perché per tenere il passo i partiti tradizionali si estremizzano a loro volta. “Questi partiti estremisti riescono a influenzare le posizioni della destra tradizionale”. Questo mette in discussione i valori e i principi su cui si fonda l’Ue. Ecco “questa crisi politica esistenziale” che divora l’Europa, questa crisi “di natura molto speciale e senza precedenti, ben diversa dalle tempeste finanziarie”, a cui le forze tradizionali non sanno offrire risposta.
E’ però un dato di fatto, e Moscovici non può che prenderne atto, che “l’aumento delle disuguaglianze sociali in Europa ha rafforzato un sentimento di sfiducia e persino di rifiuto per l’Unione, e i cittadini hanno espresso tale malcontento elezione dopo elezione”. Adesso è tardi, o forse non ancora. Il commissario europeo, socialista, prova a sferzare l’Europa. Ma lo fa in un modo tanto obbligato quanto azzardato, chiamando a raccolta tutti gli attori sovra-nazionali in piena epoca di revanscismo sovranista. “I politici e le organizzazioni che alimentano il dibattito pubblico europeo devono mantenere un dialogo estremamente serrato”, sostiene il francese.
Moscovici prova una forse troppo tardiva manovra di riavvicinamento tra politica e cittadini. Chiede un’alleanza a organismi e organizzazioni internazionali, Ocse per prima, “scambi più intensi” e “più regolari” al fine di promuovere, insieme “politiche pubbliche” che possano riavvicinare un’ Ue mai percepita così fredda e lontana. Si fa capofila del rilancio dell’Europa, promettendo, da qui alle elezioni europee del prossimo maggio, di a “partecipare a questo dibattito di idee”. Dà “pieno impegno per convincere” gli europei dell’importanza dell’Europa. Si candida di fatto come alternativa all’austerità, come alternativa al Ppe che ha gestito la crisi economica e provocato quella politica. Si candida. Di fronte a un elettorato che però sembra guardare altrove.