Bruxelles – Torna a casa più forte di come è arrivata alla conferenza. Il suo discorso a chiusura della riunione dei Tory, il suo “miglior discorso di sempre”, a detta di molti, ha probabilmente fatto la differenza, fin dal momento in cui la premier britannica Theresa May è salita sul palco ballando sulla canzone degli Abba “Dancing queen”, strappando un sorriso un po’ a tutti. Ma i problemi da affrontare, sono piuttosto gravi.
I conservatori, nel corso della conferenza di questi giorni, hanno preso molto seriamente le dure parole usate da Jeremy Corbyn, leader Labour, nei confronti della premier. Forse proprio per questo motivo May ha dedicato molte parole del discorso all’opposizione, molte più di quanto solitamente non si faccia in una conferenza di partito. “Siamo in profondo disaccordo con i laburisti su molte cose”, ha detto May, sottolineando però le “buone qualità” di fondo che li caratterizzano – l’orgoglio nei confronti delle istituzioni britanniche e delle forze armate, l’amore per la patria. Il partito laburista esiste ancora “sui banchi dell’opposizione”, ma non sulle prime file, dove siede il “partito di Jeremy Corbyn”.
Dura, la premier affonda il colpo sul leader labour, che “rifiuta i valori comuni che un tempo colmavano il nostro divario politico”. Molti deputati dell’opposizione, probabilmente, concordano con ogni parola usata dalla premier in merito all’anti-occidentalismo di Corbyn, lei che parla di Nato quale “garante della nostra libertà e sicurezza”, lui che si riferisce all’Organizzazione come ad una “mera provocatrice della Russia”. Poi parla ovviamente di Brexit. Il partito e le divisioni interne in merito sono di vecchia data, “non è stata certo una sorpresa che questa settimana abbiamo dovuto confrontarci con differenti visioni”. Ma non si rassegna, la premier. “Il mio lavoro è quello di fare ciò che credo sia nell’interesse del paese”. Per farlo, dice, è necessario in primis “rispettare il risultato del referendum, dopo aver dato fiducia al giudizio del popolo affidandogli una simile scelta”. Non solo: il Regno Unito si aspetta “una solida relazione commerciale e di sicurezza con i nostri vicini”, prima dell’uscita dall’Unione. Anche perché, sottolinea, “sono amici stretti”, e “le cose devono rimanere così”.
In tutto questo l’ipotesi del no-deal, del mancato accordo con Bruxelles, non spaventa la Gran Bretagna, afferma May; ma “uscire senza un accordo, introducendo tariffe e controlli costosi alle frontiere, avrebbe ripercussioni negative”, sia per l’Ue, sia per il popolo britannico.
Ecco quindi che spunta la sua nuova proposta di accordo, perché in una negoziazione, “se non si accetta la posizione dell’altro, si deve presentare un’alternativa”. E May la mette sul tavolo: un “accordo di libero scambio che preveda il commercio reciproco, senza attriti”. Good for jobs, good for the Union, la premier ne è convinta. Ecco perché, nonostante i conservatori “non siano d’accordo su ogni punto della proposta”, è necessario “essere uniti e muoversi insieme”.
“Il nostro è un grande paese. Il nostro futuro è nelle nostre mani. Costruiamo una Gran Bretagna migliore, insieme”. Sembra fiduciosa, nella conclusione del discorso, la premier. Ma la sua posizione è ancora precaria, e forse potrebbe essere tardi per persuadere gli elettori.