Bruxelles – Ancora (possibili) guai per l’industria automobilistica europea, a tre anni dallo scandalo “Dieselgate” che ha colpito la Volkswagen e mentre il presidente Usa Donald Trump continua a minacciare di imporre tariffe del 25% sulle auto prodotte nell’Ue.
Il 18 settembre la Commissione europea ha posto formalmente sotto indagine la stessa casa automobilistica responsabile dello scandalo sulle emissioni, oltre ad altri colossi come Bmw e Daimler (di cui fa parte la Mercedes), per verificare se queste abbiamo concordato di evitare di farsi concorrenza nello sviluppo della tecnologia per pulire le emissioni di benzina e diesel delle auto. Un’operazione di questo tipo, infatti, violerebbe le norma antitrust dell’Ue, oltre a produrre danni ambientali.
“Se confermata, la loro collusione potrebbe aver negato ai consumatori l’opportunità di comprare auto meno inquinanti, nonostante la tecnologia disponibile ai produttori”, ha detto la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager il 18 settembre.
Le tecnologie per rendere le emissioni meno inquinanti, ha aggiunto Vestager, “mirano a rendere le autovetture meno dannose per l’ambiente”.
Le indagini dell’esecutivo comunitario hanno preso l’avvio quando, nell’ottobre 2017, sono iniziate le ispezioni presso le sedi di BMW, Daimler, Volkswagen e Audi in Germania per valutare l’esistenza di a possibili collusioni tra costruttori automobilistici sullo sviluppo tecnologico delle autovetture.
La Commissione si sta adesso concentrando su informazioni che indicano che manager di BMW, Daimler, Volkswagen, Audi e Porsche, la cosiddetta “cerchia di cinque”, avrebbero partecipato a riunioni nelle quali, tra le altre cose, sarebbe stato discusso lo sviluppo e l’impiego di tecnologie per limitare le emissioni nocive dei veicoli.
In questa fase, tuttavia, la Commissione non ha indicazioni sul fatto che le parti si siano coordinate l’una con l’altra in relazione all’uso di dispositivi di manipolazione illegali per imbrogliare i test normativi.
Intanto i motori inquinanti sulle strade europee continuano ad aumentare e solo una ridotta porzione dei diesel Euro 6 rispetta davvero i limiti previsti per le emissioni di ossidi di azoto; i modelli definitivamente obsoleti, anziché essere rottamati, vengono esportati nei paesi dell’Est Europa o in Africa, dove continuano a causare danni alla salute e all’ambiente. Sono i risultati dello studio pubblicato da Transport & Environment (T&E) – la federazione europea delle associazioni per la mobilità – nel terzo anniversario del Dieselgate, lo scandalo che ha scosso l’industria delle automobili. Cittadini per l’aria Onlus ha pubblicato sul proprio sito la versione italiana dell’abstract.
“Quando lo scandalo è scoppiato nel 2015”, si legge nella ricerca di T&E, “c’erano 29 milioni di automobili diesel gravemente inquinanti in strada. Dopo tre anni, il numero di auto ‘sporche’ sulle strade europee è ancora in aumento. Questo rapporto stima che ammontino ora a 43 milioni di veicoli. Fra questi: 8,7 milioni in Francia; 8,2 milioni in Germania; 7,3 milioni nel Regno Unito e 5,3 milioni in Italia”.