Bruxelles – Quando si acquista una carta Sim senza venire informati dei servizi a pagamento preimpostati e previamente attivati in essa, non potendo ritenere di aver liberamente scelto la fornitura di tali servizi, la compagnia telefonica compie una “pratica commerciale aggressiva sleale”. È quanto ha stabilito la Corte di giustizia europea con la sentenza odierna, dichiarando che la richiesta di un servizio telefonico debba consistere in una scelta libera da parte del consumatore. È irrilevante che l’utilizzo dei servizi abbia potuto richiedere un’azione consapevole da parte del consumatore, come è irrilevante che il consumatore abbia avuto la possibilità di far disattivare o di disattivare egli stesso tali servizi.
La Corte Ue ha affermato che “non è evidente che un acquirente medio di carte Sim possa essere consapevole del fatto che tali carte contengano servizi preimpostati e previamente attivati, atti a generare costi aggiuntivi”, o del fatto che alcune applicazioni o l’apparecchio stesso possano connettersi a Internet a sua insaputa, né che il soggetto abbia una competenza tecnica sufficiente per disattivare tali servizi o tali connessioni automatiche sul suo apparecchio. Condotte come quelle contestate agli operatori di telefonia costituiscono una “fornitura non richiesta” e, quindi, ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, “una pratica sleale” e in ogni caso aggressiva.
La vicenda è scaturita dalle ammende inflitte dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), nel 2012, alle società Wind Telecomunicazioni (ora Wind Tre) e Vodafone Omnitel (ora Vodafone Italia) per aver commercializzato carte Sim sulle quali erano preimpostati servizi di navigazione Internet e di segreteria telefonica, i cui costi venivano addebitati all’utente se quest’ultimo non ne richiedeva espressamente la disattivazione.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) ha annullato i provvedimenti dell’Agcm, dichiarando che tali sanzioni rientravano nella competenza di un’altra autorità, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom). Successivamente il Consiglio di Stato, con sentenza del 2016, ha dichiarato che la competenza a sanzionare la violazione degli obblighi informativi nel settore delle comunicazioni elettroniche appartiene all’Agcom. Il Consiglio si è interrogato, però, sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di tale interpretazione. Ha quindi deciso di sottoporre alla Corte di giustizia europea il caso. In particolare, ha chiesto alla Corte se la condotta in parola degli operatori di telecomunicazioni possa essere qualificata come “fornitura non richiesta” o, più in generale, come “pratica commerciale aggressiva”, ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. La Corte, oggi, ha dichiarato che la condotta rientra, appunto, nella fattispecie di “fornitura non richiesta”.