dall’inviato
Strasburgo – I nazionalismi avanzano, e c’è la fondata possibilità che alle prossime elezioni europee possano conquistare ancora altro terreno. E seggi in Parlamento, posti in Commissione. La tenuta dell’Europa è a rischio nella misura in cui il suo meccanismo di funzionamento richiede un’unanimità che rischia di essere ancor meno scontata alla prossima legislatura. Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, lo sa molto bene. Non a caso annuncia l’intenzione di “proporre il voto a maggioranza qualificata su alcune questioni di politica estera e di fiscalità”.
L’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato dal lussemburghese vede Juncker smarcarsi del tutto ciò che è anti-europeista. Probabilmente non è un intervento destinato a rimanere scolpito nella storia, ma il capo della Commissione politica prende un’ultima iniziativa politica che intende imprimere davvero una svolta per un’Europa a due velocità. Chi vuole accelerare il processo di integrazione vada avanti, chi vuole rallentare o peggio ancora fermarlo, che resti indietro.
“Dovremmo passare al voto a maggioranza qualificata. Ciò è possibile sulla base degli attuali trattati e credo che sia giunto il momento di utilizzare questo ‘tesoro perduto’ del trattato di Lisbona”. Si rende necessario. Per circoscrivere i sovranisti, a cui ricorda che “la sovranità europea deriva da quella nazionale, che non sostituisce”, e che “il patriottismo del XXI secolo è duplice: sia europeo che nazionale, con uno che non esclude l’altro”. E si rende necessario perché “c’è una domanda crescente d’Europa” a cui bisognerà dare risposta. Per farlo “bisogna poter parlare ad una sola voce”, esattamente il contrario di quello che avviene in questo momento storico. Da qui l’appello a tutti i suoi interlocutori, quelli a lui più vicini e quelli a lui un po’ più lontani. “Siamo tutti responsabili per l’Europa di oggi, e tutti dobbiamo assumerci la responsabilità dell’Europa di domani”.
Tende la mano ai nazionalisti, comunque europei. “Amare l’Europa vuol dire amare le nostre nazioni, amare la nostra nazione vuol dire amare l’Europa”. Un modo di dire che tutte le diverse anime possono convivere nella grande casa a dodici stelle, con i dovuti accorgimenti. “Il patriottismo è una virtù, il nazionalismo incontrollato è velenoso”. Per chi non comprende la differenza, Juncker offre allora la risposta. “Amo il mio Paese, ma non detesto gli altri”. Difficile essere più chiaro.
Rilancia con forza l’idea dello spitzenkandidat, l’indicazione da parte dei partiti politici europei del candidato alla guida della Commissione. In tempi in cui per avere legittimità di qualunque natura occorre essere eletti, non è una richiesta da poco. Anzi. Rilancia l’Europa, o almeno ci prova. “Dobbiamo dimostrare che l’Europa può superare le differenze tra nord e sud, est e ovest, sinistra e destra”. Non ci si è riusciti finora, e le elezioni europee sono dietro l’angolo.
Sul fronte immigrazione Juncker è tornato ad insistere sul tema della solidarietà e della condivisione. “Non è possibile trovare una soluzione per ogni barca che arriva. Ci vuole solidarietà”. Per gestire il fenomeno il presidente della Commissione propone “il rafforzamento della guardia costiera di frontiera, con 10.000 nuove unità entro 2020 che saranno a carico del su bilancio Ue”. Ma, ha detto anche, l’Unione deve fare di tutto per “garantire il rispetto del diritto d’asilo” e rendere effettivi i rimpatri. Tutto questo parallelamente ad una politica “per creare flussi migratori legali”.