Bruxelles – Scienza e religione, si sa, difficilmente vanno d’accordo e il sempiterno dilemma su quale, tra le due, possegga la verità è tuttora per alcuni oggetto di disputa.
In questo caso, però, la controversia riguarda vicende molto terrene, e, a dirimerla è intervenuta la Corte di Giustizia europea. Interpellati da un tribunale tedesco infatti, i giudici del Lussemburgo hanno dichiarato l’11 settembre che il licenziamento, da parte di un ospedale cattolico, di un primario cattolico “reo” di aver contratto un secondo matrimonio, senza aver avuto l’annullamento del primo dalle istituzioni cattoliche, “costituisce una discriminazione fondata sulla religione”.
La vicenda riguarda il signor JQ, che ha lavorato in qualità di primario del reparto di medicina interna di un ospedale gestito dall’IR, una società tedesca soggetta alla vigilanza dell’Arcivescovo cattolico della città di Colonia.
L’IR, quando ha avuto notizia del fatto che JQ, dopo il divorzio dalla prima moglie con la quale era sposato con rito cattolico, si era risposato civilmente, senza previo annullamento del matrimonio, lo ha licenziato. La motivazione, secondo l’IR, sarebbe che il primario, contraendo un matrimonio nullo per il diritto canonico, sarebbe in tal modo gravemente venuto meno agli obblighi derivanti dal contratto di lavoro.
Tale contratto, infatti, prevede che la conclusione di un matrimonio invalido secondo il diritto canonico da parte di un lavoratore cattolico con funzioni direttive, costituisca “una grave violazione degli obblighi di lealtà e giustifichi pertanto il suo licenziamento”.
JQ ha contestato il suo licenziamento dinanzi ai giudici del lavoro tedeschi sostenendo che il suo secondo matrimonio non costituiva un motivo valido per il licenziamento – e che la struttura, terminando il rapporto lavorativo, avrebbe violato il principio di parità di trattamento.
I giudici federali del lavoro tedeschi hanno quindi chiesto lumi alla Corte di giustizia dell’Ue, per interpretare la direttiva sulla parità di trattamento, che vieta che un lavoratore sia discriminato in funzione della sua religione.
Con la sentenza di oggi, la corte ha stabilito che “il requisito per un primario cattolico di rispettare il carattere sacro e indissolubile del matrimonio secondo la concezione della Chiesa cattolica non sembra costituire un requisito professionale essenziale, legittimo e giustificato”.
Nonostante questo, secondo i giudici lussemburghesi le circostanze vanno verificate ulteriormente dalla corte o dal tribunale del lavoro nazionale.