Bruxelles – È un appello accorato, quello fatto dagli attivisti ungheresi per i diritti umani ai parlamentari europei, a una settimana dal voto dell’Eurocamera sull’avvio delle procedure previste dall’articolo 7 del Trattato Ue* contro l’Ungheria, ovvero del percorso che aprirebbe la via a sanzioni contro il Paese che possono arrivare anche a una temporanea perdita del diritto di voto in seno al Consiglio.
È l’appello di coloro che nutrono la speranza che l’Unione europea possa fare qualcosa per arginare l’ondata censoria e autoritaria – prima ancora che populista – che, sostenuta da una maggioranza parlamentare molto ampia, sta piano piano sommergendo tutti quei settori che rappresentano la società civile e il pluralismo.
Dopo aver individuato da tempo le aree critiche nelle quali l’Ungheria ha messo in atto una stretta liberticida, il Parlamento europeo deciderà il 12 settembre se penalizzare Budapest per lo smantellamento in atto in Ungheria dello stato di diritto, la libertà di espressione e la democrazia.
Il punto non è tanto applicare sanzioni l’Ungheria, spiegano gli attivisti, quanto piuttosto, come indicato da Aaron Demeter di Amnesty Hungary, quello di far “valere i nostri valori comuni” e “far arrivare un messaggio”, facendo si che “la situazione venga presa molto sul serio”.
“Il nostro appello al Parlamento europeo è l’ultima opportunità per difendere la democrazia e la libertà” ha spiegato Marta Pardavi della ong per i diritti umani Hungarian Helsinki Committee.
La situazione “ha raggiunto un punto tale” per cui sono a rischio “valori e principi fondamentali” e, nonostante i numerosi appelli, l’Ungheria “continua sistematicamente a violare i diritti umani e le regole”, ha aggiunto Demeter.
Dalle elezioni politiche di aprile, stravinte dal primo ministro Viktor Orban e dal suo partito Fidesz (parte del Ppe al Parlamento europeo), una serie di azioni e riforme sono state intraprese, con ripercussioni sulla libertà di espressione e l’indipendenza degli organismi di controllo dell’esecutivo.
Tra queste, spicca la tristemente famosa legge “anti-Soros” – dal nome del filantropo di origine ungherese attivo nella difesa dei diritti umani nel suo Paese di origine – che limita fortemente la capacità delle ong di agire a supporto dei richiedenti asilo, prevedendo un aumento delle tasse per i gruppi che supportano l’immigrazione e pene detentive per coloro che aiutano i migranti a rimanere in territorio ungherese.
Il voto dell’europarlamento del 12 settembre si baserà su di un report preparato e votato dalla commissione per le Libertà Civili del Parlamento (Libe), che evidenzia, con tono allarmistico, come la democrazia e lo stato di diritto siano sotto attacco in Ungheria e raccomanda l’avvio di sanzioni.
Nel report, i deputati di Libe hanno individuato 12 aree critiche, che vanno dal funzionamento del sistema costituzionale e giudiziario alla corruzione, la libertà di espressione e accademica, sino ai diritti dei rifugiati, migranti Rom ed ebrei.
Anche se, a differenza di altri Paesi con regimi più autoritari, l’integrità personale di giornalisti o accademici non sembra essere rischio, problemi di vario genere si presentano per chi “si reca alle manifestazioni, per i media e gli accademici”, compresi i sempre più frequenti “attacchi e intimidazioni dal governo”, ha spiegato Stefania Kapronczay dell’Hungarian Civil Liberties Union
“Chiunque voglia esprimere la propria posizione o punto di vista è soggetto a intimidazioni”, ha aggiunto Kapronczay, ricordando quanto censura e propaganda, a Budapest, siano all’ordine del giorno.
“La vita di queste persone è sempre più simile a quella di coloro che lavorano a Mosca, Istanbul o il Cairo” piuttosto che “Mosca e Berlino”, ha avvertito Paravi.
“Numerosi giornali – ha ricordato Krisztian Simon, giornalista e dottorando ungherese – sono stati chiusi da un momento all’altro” e i reportage “devono essere allineati alle posizioni del governo” o, per loro “è molto difficile sopravvivere” anche perché i soldi provenienti dalla pubblicità – il maggiore sponsor dei mezzi di comunicazione – sono legati alle scelte del governo” . Esercitare la libertà di opinione è un rischio, “esistono liste di persone”, ha concluso Simon con amarezza.
“Anche adesso”, hanno spiegato gli attivisti, “siamo consapevoli che c’è una telecamera della Tv governativa che ci sta riprendendo” e che i volti verranno ricordati.
Ma la questione, hanno ricordato gli attivisti, non riguarda solo l’Ungheria. Per l’approccio al tema dei migranti, per esempio, esempi simili si possono avere anche in “Polonia o Italia”.
L’Ungheria “è diventato una sorta di esperimento, molti altri la guardano e guardano l’effettività delle politiche messe in atto”, ha spiegato Marta Pardavi.
E’ per questo, ha concluso l’attivista di Budapest, che quella ungherese può e deve “diventare una questione europea” da “prendere sul serio, come un’opportunità” di riflessione “sullo stato di diritto”.
*Cosa dice l’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea
1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.
Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.
2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.
Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.