La recente spinta verso una maggiore cooperazione e integrazione europea nell’ambito della difesa ha visto solo un ruolo parziale da parte del Parlamento europeo. Nonostante tale esito sia riconducibile a diversi fattori che stanno alla base del funzionamento dell’Ue e alla ripartizione di competenze tra vari organi ed istituzioni, occorre chiedersi se i poteri dell’assemblea di Strasburgo al riguardo possano essere accresciuti in futuro.
L’eredità dei pilastri
L’esercizio da parte del Parlamento europeo di funzioni rilevanti in materia di difesa incontra un primo ostacolo nella peculiare struttura su cui si poggia l’Ue e che affonda le sue radici nel Trattato di Maastricht, il quale raggruppava le politiche in tre pilastri fondamentali, ispirati a diversi processi decisionali. Mentre nel primo pilastro, riguardante il mercato comune europeo, vigeva l’applicazione del cosiddetto “metodo comunitario”, in base al quale sono le istituzioni rappresentative dell’Unione (Commissione, Parlamento e Corte di Giustizia) a rivestire un ruolo chiave, negli ambiti di politica estera e cooperazione di polizia e giudiziaria – rispettivamente secondo e terzo pilastro – si ricorreva al “metodo intergovernativo”, che prevedeva una sostanziale preminenza degli Stati membri rappresentati in seno al Consiglio europeo ed al Consiglio.
Nonostante l’adozione del Trattato di Lisbona abbia eliminato formalmente i tre pilastri, i diversi criteri decisionali sono stati sostanzialmente mantenuti nell’attuale ordinamento. Per questo motivo, il ruolo del Parlamento europeo in ambito difesa – materia in origine ascrivibile al secondo pilastro di Maastricht – è abbastanza limitato, ridotto all’esercizio di funzioni meramente consultive. In tale contesto, l’istituzione di una sottocommissione Sicurezza e Difesa (Subcommittee on Security and Defence – Sede) nella struttura del Parlamento, con l’obiettivo di assistere la Commissione Affari esteri sulla politica di sicurezza e di difesa attraverso funzioni esecutive o di esame, non ha di fatto comportato un’estensione dei compiti esercitati dal Parlamento.
L’acceleratore della difesa comune
Su un piano più generale, l’integrazione europea in materia di difesa ha conosciuto una notevole accelerazione soprattutto a seguito della pubblicazione della EU Global Strategy voluta dall’Alto rappresentante Federica Mogherini, del referendum sulla Brexit e dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. A partire dall’estate 2016, infatti, diverse iniziative sono state intraprese, tra cui il lancio della cooperazione strutturata permanente (Permanent Structured Cooperation – Pesco), divenuta legalmente vincolante per gli stati partecipanti l’11 dicembre 2017.
La messa in comune di risorse in ambito difesa a fini cooperativi, in modo da evitare inutili duplicazioni tra Stati membri, risponde ad un’esigenza sostenuta dal Parlamento europeo e dalla Commissione sin dall’inserimento, nel Trattato di Lisbona, della clausola che prevedeva la possibilità stessa di lanciare la Pesco. L’assemblea di Strasburgo non ha però alcun ruolo in questa iniziativa, eccezion fatta per i dibattiti sui rapporti annuali sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune, che si configurano quantomeno come un primo embrione di esame delle scelte da parte dei rappresentanti eletti dai cittadini europei.
Un discorso diverso va fatto, invece, per quanto riguarda le attività discendenti dal Piano di azione europeo per la difesa (Edap – European Defence Action Plan), lanciato dalla Commissione nel novembre 2016, che ha previsto, dopo l’azione preparatoria per la ricerca militare (Padr – Preparatory Action for Defence Research) e il Fondo europeo per lo sviluppo dell’industria della difesa (Edidp – European Defence Industry Development Program), il Fondo europeo per la difesa (Edf – European Defence Fund), tutti strumenti creati dalla Commissione al fine di incentivare investimenti congiunti per lo sviluppo di capacità in materia di difesa attraverso un finanziamento da parte del bilancio europeo. La portata di tale novità è amplificata se si pensa che la Commissione – un’istituzione che rappresenta l’interesse generale dell’Unione – ha sviluppato un ruolo di primo piano in un ambito che non rientra tra le sue tradizionali prerogative. Di riflesso, anche il Parlamento europeo ha partecipato al processo di adozione del bilancio stanziato per la difesa, come previsto dalle disposizioni stabilite a Lisbona, seppur con un coinvolgimento molto limitato della sottocommissione Sede a vantaggio della commissione per il mercato interno (Imco).
Proprio sull’Edidp, il Parlamento europeo ha svolto un ruolo di primo piano, attraverso la partecipazione della sua commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre) al negoziato trilaterale con Consiglio e Commissione europea.
Questo maggiore coinvolgimento nel settore della difesa – al pari di quello della Commissione -, è riconducibile, più che ad un reale innalzamento dei rispettivi ruoli nella sfera intergovernativa, ad uno spostamento dell’attenzione su questo tema in un ambito più propriamente comunitario. La gestione dei fondi Ue per la ricerca tecnologica e lo sviluppo di capacità militari non implicano, però, nell’immediato l’avviamento di un processo di “comunitarizzazione” della difesa, materia sulla quale sono gli Stati membri a mantenere pieni poteri decisionali.
Tra politica industriale e sicurezza dei cittadini
Alla luce di quanto detto, le funzioni del Parlamento europeo in materia di difesa potranno aumentare in futuro, ma sempre nel rispetto degli obiettivi che hanno portato alla formazione e progressiva mutazione dell’Ue. Per questo motivo, salvo una revisione dei Trattati ed un ripensamento dei principi ispiratori, riesce difficile immaginare che al Parlamento europeo possano essere riconosciuti poteri riservati ai Parlamenti nazionali, quali ad esempio la facoltà di autorizzare l’uso della forza armata.
In quest’ottica, un primo passo in avanti per un ruolo più significativo dell’assemblea di Strasburgo potrebbe scaturire dalla già più volte richiesta conversione della sottocommissione Sede in una vera e propria commissione parlamentare, al pari delle altre e di quanto succede nei Parlamenti nazionali. Ciò permetterebbe agli eletti di valutare gli sviluppi in atto e futuri primariamente nell’ottica della sicurezza dei cittadini europei, e non solo del mercato interno o della politica industriale e tecnologica.
In tal modo, si favorirebbe un collegamento maggiore del Parlamento europeo con la politica di sicurezza e difesa comune, nonché con i dibattiti nazionali al riguardo che si svolgono nelle commissioni competenti. Le prossime elezioni europee del 2019 sono un’occasione per compiere questo primo passo, senza il quale è difficile pensare sviluppi più ambiziosi.
Intervento tratto da Affarinternazionali.it