Non è la prima volta che si apre una crisi tra il Qatar e gli altri Paesi del Golfo (l’ultima risale al 2014). La tensione era salita quando l’agenzia di stampa statale del Qatar ha riportato una frase dell’emiro Sheikh Tamim bin Hamad al Thani: “Non c’è saggezza nel nutrire l’ostilità nei confronti dell’Iran”. Frase subito contestata dagli altri Paesi del Golfo.
Il 5 giugno dello scorso anno Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Yemen hanno sospeso i rapporti diplomatici con il Qatar. L’Arabia Saudita aveva accusato il Qatar di sostenere gruppi terroristici “che minano a destabilizzare la regione, come i Fratelli musulmani, l’Isis e al Qaida”. Anche il governo della Libia orientale (quello non riconosciuto dall’ONU, alleato di Egitto ed Emirati), Mauritius e Maldive hanno deciso di interrompere i rapporti diplomatici con il Qatar.
Oltre all’interruzione delle relazioni diplomatiche, sono state prese misure drastiche per isolare la penisola quatarina l’Arabia Saudita ha chiuso i confini terrestri (gli unici che collegano il Qatar alla terraferma) e i 5 paesi hanno annunciato la sospensione dei collegamenti marittimi e aerei con Doha, con la chiusura entro 24 ore dello spazio aereo e dei porti.
Il Qatar è stato espulso anche dalla coalizione militare dei Paesi del Golfo impegnati in Yemen e guidata dall’Arabia Saudita.
I diplomatici dei cinque paesi lasceranno Doha e i diplomatici qatarioti dovranno lasciare le loro sedi nei cinque paesi in 48 ore.
I cittadini qatarioti residenti nei diversi Paesi del Golfo e i turisti qatarioti hanno 14 giorni per lasciare gli Emirati e gli altri Paesi.
Attraverso l’agenzia di stampa nazionale WAM il Governo emiratino ha dichiarato: “Gli Emirati affermano il loro impegno e il loro sostegno completo al Gulf Cooperation Council e alla sicurezza e alla stabilità degli Stati del GCC. In questo contesto, sulla base dell’insistenza dello Stato del Qatar nel continuare a minare la sicurezza e la stabilità della regione, e della mancata osservanza degli impegni e degli accordi internazionali, è stato deciso di adottare le misure necessarie per salvaguardare gli interessi degli Stati GCC”.
Gli annunci sulle compagnie aere sono anche più chiari:
“La compagnia aerea Emirates sospenderà i suoi voli a partire dalle 2.30 di questa notte. Etihad effettuerà l’ultimo volo su Doha alle 2.45 di questa notte. Flydubai alle 21.25 di questa sera. Air Arabia ha già sospeso tutti i suoi voli per e dal Qatar.”
La Qatar Airways ha quindi annunciato la sospensione dei voli verso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrain.
I cittadini emiratini hanno il divieto di recarsi o semplicemente transitare per il Qatar.
Nel pomeriggio il Ministro degli Esteri del Qatar ha reso noto tramite Al Jazeera che si tratta di “misure ingiustificate, basate su accuse senza fondamento” e di “una violazione della sovranità del Qatar”.
Il 23 giugno successivo Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Yemen presentano un documento in 13 punti, il cui adempimento completo e senza riserve sarebbe la premessa alla fine del blocco.
Gran parte delle richieste appaiono per molti versi pretestuose, in una regione in cui nessuno può seriamente dirsi al di fuori di legami, collegamenti, vicinanza – anche solo ideologica o storica – a qualche gruppo legato in qualsiasi modo o forma al terrorismo. Se non altro per opportunità geopolitica.
Men che meno i paesi maggiormente impegnati in questo blocco: Egitto, Arabia Saudita, Yemen, Emirati… che non hanno certo brillato anche in termini di trasparenza finanziaria.
A distanza di un anno la situazione è pressoché bloccata in uno stallo che non giova a nessuno dei paesi, che pare invece continuino una guerra a distanza giocata sullo scacchiere internazionale.
Ricordiamo ad esempio che negli Emirati si terrà l’Expò nel 2020 – da molti analisti l’ultima occasione per risollevare un’economia che non si è mai ripresa dalla crisi del 2008 e dal fallimento del fondo immobiliare sovrano di Dubai.
Ricordiamo anche nel 2022 sono previsti gli sfarzosissimi mondiali di calcio a Doha, in Qatar, con stadi da 150mila persone tutti con aria condizionata, in cui è previsto che alla fine della manifestazione vengano smontati e rimontati in cinque paesi “poveri”, come donazione per la promozione dello sport.
Il Qatar, per sopravvivere al blocco, ha stretto importanti legami commerciali con Cina, Turchia, India e consolidato quelli con l’Iran e Kuwait. È di fatto diventato “l’azionista di riferimento” dell’Oman – di cui ha rilevato la compagnia aerea, ristrutturato un porto e realizzato ex novo un secondo porto.
Non secondario l’enorme piano di investimenti in Inghilterra, da quelli immobiliari a Londra – dove la famiglia reale ha acquistato tra l’altro l’immobile dell’ambasciata americana nel Regno Unito che poi ha sfrattato per realizzarvi un albergo extralusso, o dove Al-Thani ha acquisito terreno, immobile e attività di Harrods da Al-Faied – sino in Scozia.
Qui, dopo aver rilevato lo storico Ritz-Carlton, per far fronte al bisogno nazionale di latte, i qatarini hanno inaugurato un ponte aereo merci per trasportare i black-angus scozzesi direttamente in apposite farm nel deserto per produrre “latte scozzese locale” e ovviamente le famose bistecche.
Chi sembra trarre i maggiori vantaggi da questo blocco ancora una volta sono proprio gli inglesi.
Infatti la HSBC è l’unica banca estera presente contemporaneamente in Qatar e negli Emirati, e la British Airways è l’unica compagnia che collega Londra direttamente con i due paesi.
E almeno al momento è anche il paese che maggiormente beneficia e attrae investimenti da parte di tutti i paesi coinvolti.
Nel 2012 QIA ha comprato una quota del 20 per cento dell’aeroporto londinese di Heathrow, mentre nel 2016 Qatar Airways ha aumentato al 20 per cento la sua quota nella società proprietaria di British Airways, IAG SA.
Il primo “campo di gioco” sono le squadre di calcio europee.
Basti pensare che il giorno dopo l’istituzione del blocco la famiglia reale del Qatar – indirettamente proprietaria del Paris Saint-Germain – acquista Neymar per la cifra record di 200milioni di euro.
Non è secondario che lo sponsor tecnico principale della squadra francse a proprietà qatarina sia “Fly Emirates”.
Investimenti globali fondamentali in geopolitica sono principalmente operati tramite la QIA (Qatar Investment Autority Holding), che figura tra gli azionisti di Qatar National Bank (55% e 20mld din dollari di asset) Volkswagen (11%) Rsneft Oil (10%) Glencore (9%) Barclay Bank (7%) Royal Dutch Shell (2%) Agricultural Bank of China (13%) Sainsbury (22%) Tiffany (13%).
Nel 2012 Mayhoola for Investments, una società di investitori qatarioti, ha acquistato la casa di moda italiana Valentino Fashion Group dalla società di private equity Permira Adviser per circa 700 milioni di euro, mentre nel 2015 l’ex primo ministro del Qatar Hamad bin Jassim ha comprato una quota del 10 per cento della società spagnola El Corte Inglés, la più grande catena di grandi magazzini dell’Europa occidentale.
Sempre nel 2016 il Qatar risulta essere uno dei maggiori investitori netti esteri in USA.
L’emittente qatariota BeIN Media Group ha acquisito Miramax, il QIA è stato il quarto maggiore investitore in spazi per uffici negli Stati Uniti, soprattutto a New York e Los Angeles; sempre nel 2016 ha acquisito quasi il 10 per cento della società che possiede l’Empire State Building, Empire State Realty Trust, e ha raggiunto un accordo di collaborazione con la società immobiliare Brookfield Property Partners per un progetto da 8,1 miliardi di euro ai margini del West Side di New York.
Un altro territorio europeo in cui si gioca questa partita sono “i cieli italiani”.
Mentre Ethiad – compagnia aerea di Abudabi – è azionista di Alitalia, e si trova a vedere il suo investimento ridotto ai minimi termini di valore finanziario ed industriale viste le condizioni della compagnia di bandiera italiana, il suo maggiore rivale è AirItaly, marchio “resuscitato” per acquisire le attività di Meridiana – ex compagnia della famiglia dell’Aga Chan – e di cui il maggiore azionista e investitore (pare con un investimento di circa 50 nuovi aerei) è proprio la Qatar Airlines.
Una delle migliori operazioni che hanno la firma dell’Ambasciatore Salzano, da poco nominato in Qatar e proveniente dall’Eni, che ha portato l’Italia ad essere business partner primario, con appalti firmati Fincantieri (navi da pattugliamento costiero), Leonardo (impianti per la sicurezza durante i mondiali) e Ansaldo (metropolitana di Doha). Solo per citare i maggiori.
Non ultima a beneficiare di questa crisi è la Cina, in particolare attraverso una legge del Qatar che, per sviluppare l’industria e la produzione interna (e l’edilizia per la relativa manodopera) prevede di “regalare” l’uso del suolo, acqua e energia per chi decida di localizzare stabilimenti nella penisola.
Particolarmente interessati si sono mostrati i cinesi, pr la produzione di alluminio solfati e fosfati in particolare, che con questi benefici vengono prodotti a prezzi praticamente stracciati.
I bene informati parlano di una crisi tutt’altro che geopolitica, legata piuttosto a gelosie personali e competizione tra paesi e emiri.
Lo scenario è di un’Arabia Saudita in attesa di segnali concreti di svecchiamento dopo una chiusura durata sin troppo (ad esempio non è previsto il visto turistico, ma solo “su invito” per ragioni di lavoro) con infrastrutture vecchie di cinquant’anni, un paese che ha sempre avuto come unico partner gli Stati Uniti e contemporaneamente schiacciato dalla massima espressione del radicalismo religioso e culturale.
L’Egitto che fatica a trovare la strada della democrazia, e nel frattempo vuole recuperare un peso geopolitico internazionale, o quanto meno nella regione.
Lo Yemen, stanco dell’isolamento, in cerca di partner nell’area che possano finanziarne la ricostruzione.
Gli Emirati Arabi Uniti che vedono nell’indebolimento del Qatar la “via breve” per predominare sul turismo e sull’investimento immobiliare, finanziario e turistico – e possibilmente anche di hub commerciale e aeroportuale strategico; se non per crescere almeno per uscire definitivamente dalla crisi del 2008.
Mentre i paesi del GCC, per rendere i propri bilanci un po’ più autonomi dal petrolio – ed anche per esercitare quanto meno un controllo che dia cognizione di causa dei volumi d’affari delle società presenti nei rispettivi paesi – un anno fa ha introdotto l’iva (anche se al 5%, questo comunque implica che dovranno cominciare ad essere redatti e depositati i bilanci!), anche su questo punto continua la battaglia tra i paesi: l’unico che ha “detto no” a questo dictat “made-in-arabia-saudita” è stato, ancora una volta, il Qatar.
Questo – in sintesi – lo scenario, e come, sin qui, si stanno muovendo i loro protagonisti.
Senza dimenticare che sia per “quantità prodotta” di petrolio, gas, alluminio, solfati, sia soprattutto per controllo costiero delle vie di transito di queste materie prime, questa “piccola querelle” tra apparentemente piccoli paesi che qualcuno non sa nemmeno dove siano, quanto grandi siano in realtà, e come si collochino politicamente, incide notevolmente sulle economie europee.