Bruxelles – ‘Avanguardia’ non è la parola d’ordine dell’Italia, ancora incapace di tenere il passo degli altri Paesi d’Europa in fatto di innovazione, sviluppo industriale e infrastrutturale. I dati Eurostat sul rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite riferiti a tali ambiti mostra una figura impietosa per la Penisola, indietro praticamente ovunque, a cominciare dalla ricerca.
Ricerca e sviluppo sono considerati gli elementi chiave di una politica industriale e innovativa vincente. Eppure l’Italia qui investe poco, l’1,29% del Prodotto interno lordo (dati 2016), quando la spesa media dell’Unione europea è di poco superiore superiore al 2% del Pil (2,03%). Non sorprende, quindi, che il sistema Paese abbia, rispetto alla media comunitaria, una quota minore di impiegati nella ricerca (1,02% della popolazione attiva, contro l’1,22% della media Ue).
Se poi si dà uno sguardo ai numeri relativi alle persone impiegate nel settore dell’alta tecnologia (high-tech), anche qui l’Italia, in termini percentuali, risulta più indietro di altri Stati membri: il 40,7% della popolazione attiva lavora in questo settore, contro una media del 45,8%. Tutto questo ha un costo. I numeri almeno suggeriscono questo. Dal 2010 al 2014 il numero di brevetti ‘made in italy’ depositati è diminuito costantemente. Se nel 2006 l’Italia vantava 87 brevetti ogni milione di abitanti, otto anni dopo ne contava 69 (sempre per milione di abitanti).
Unica consolazione per l’Italia, l’impronta ecologica delle nuove automobili. Se nel 2017 l’emissione media delle nuove autovetture in Europa è stata di 118,5 grammi di CO2 per chilometro, in Italia il dato si è fermato a 113,4 grammi.