Roma – L’Italia è pronta a riconoscere la Crimea come parte della Federazione russa? È legittimo chiederselo leggendo l’intervista che il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha rilasciato al Washington Post. Alla domanda sulla legittimità del ritorno della penisola sotto il controllo di Mosca – il territorio apparteneva all’Ucraina dal 1954 e l’annessione del 2014 non è stata riconosciuta se non da pochi Paesi alleati della Russia – il leader della Lega risponde: “C’è stato un referendum”. Che la consultazione non sia stata legittima, perché influenzata dalla presenza militare russa, “è un punto di vista, ma non il mio”, prosegue l’esponente dell’esecutivo.
Salvini, difende il voto in Crimea a invita a paragonarlo alla “falsa rivoluzione in Ucraina, che era una pseudo rivoluzione finanziata da potenze straniere, come quelle della primavera araba”. Accuse pesanti, quelle lanciate dal titolare degli Interni. L’alleato del Partito del presidente russo Vadimir Putin – anche se i rapporti vengono derubricati a una cooperazione tra le organizzazioni giovanili di Lega e Russia unita – taglia corto: “Ci sono alcune zone storicamente russe, con cultura e tradizioni russe, che appartengono legittimamente alla Federazione russa”.
Dopo aver legittimato l’annessione della Crimea, non stupisce che Salvini torni a parlare di revoca delle sanzioni stabilite dall’Ue, su proposta statunitense, proprio per il comportamento di Mosca in Ucraina. Le misure economiche contro la Russia sono “da abolire perché non hanno dimostrato di funzionare e, secondo i dati, provocano un danno all’export italiano”.
Sulle sanzioni, Salvini si trova in disaccordo anche con il presidente statunitense Donald Trump, ma lo elogia per le politiche sull’immigrazione “perché vuole realizzare ciò che ha promesso agli elettori. Proprio come ha fatto quando ha riconosciuto Gerusalemme come capitale d’Israele. Sono pienamente d’accordo con quella decisione”, dice il leader leghista aprendo un nuovo potenziale scontro diplomatico. A rischio non solo i rapporti con i palestinesi e il mondo arabo, ma anche quelli nell’esecutivo, visto che il sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano, per citare il caso più noto, è invece un convinto sostenitore della causa palestinese.