Bruxelles – I negoziati sulla Brexit sono a un muro contro muro che li tengono a un punto morto. Il confronto tra Unione europea e Regno Unito è fermo su posizioni ancora troppo distanti e, soprattutto, inconciliabili. Le due parti si gettano addosso, a vicenda, la parola “inconciliabile” commentando le rispettive proposte. Il tempo scorre, e il rischio di un non accordo si fa sempre più concreto, tanto che ormai a Bruxelles ci si prepara sempre di più a questa eventualità. La riunione del consiglio Affari generale nell’ormai consueta formula a Ventisette certifica ogni volta di più le difficoltà a procedere oltre.
“Avremo un accordo di ritiro solo se il testo legale è concordato su tutte le questioni – ha detto Gernot Blümel, ministro austriaco di turno del Consiglio -. Questo include il backstop per l’Irlanda del Nord. In questo contesto, dobbiamo ricordare che tutti gli impegni assunti finora devono essere pienamente rispettati”. Il ministro ammonisce che “l’accordo di ritiro deve essere concluso il prima possibile. Anche i lavori devono essere accelerati al fine di preparare una dichiarazione politica sul quadro per le future relazioni”, ed ammonisce: “Dobbiamo intensificare il nostro lavoro sulla preparazione nel caso in cui non trovassimo un accordo”.
Il negoziatore capo dell’Ue, Michel Barnier, prende nota del libro bianco prodotto dal governo di Downing Street, ma il documento di Londra aiuta fino a un certo punto. “Ci sono degli elementi in contraddizione con le conclusioni del vertice del Consiglio europeo, come ad esempio l’indivisibilità delle quattro libertà”. Theresa May ha proposto la sola libera circolazione delle merci. Peccato che “non negoziamo sulle quattro libertà”. Lo mette in chiaro una volta di più Barnier, deciso ad andare avanti lo stesso, e provarci comunque. “E’ difficile”, però la prossima settimana si prova a trovare un’intesa quanto meno sulla cosiddette misure di salvaguardia (backstop), che dovrebbero permettere un accordo transitorio in attesa di uno vero e proprio. Che, allo stato attuale, appare lontano.
Il libro bianco messo di Londra “pone dei problemi”, riconosce Michel Barnier. Ne enumera tre. Il primo è quello del mercato unico europeo e i principi alla base. Il Regno Unito ha dato la disponibilità ad allinearsi agli standard comunitari, “ma solo per quelli alle frontiere”. Vuol dire, ricorda il negoziatore capo dell’Ue, che ci sono prodotti che potrebbero sfuggire a standard e norme. Fa l’esempio dei prodotti agricoli, per i quali Londra potrebbe non adeguarsi alle regole in materia di pesticidi od organismi geneticamente modificati (Ogm). C’è quindi un rischio “per il mercato unico e per la sicurezza dei cittadini”. Poi c’è la questione dei servizi. “Il Regno Unito vuole restare libero di avere regole differenti” da quelle europee. Anche qui, si mina il principio delle quattro libertà. Ad esempio, spiega Barnier, “nel valore di un telefono cellulare il 30-40 per cento è in servizi, questi come li calcoliamo?”.
E poi, cosa non meno importante, “le proposte britanniche sono fattibili?”. L’interrogativo che assilla Barnier, e non solo lui, dà la dimensione del problema. Si chiede a Londra proposte “realizzabili”, segno che non ce ne sono, che il governo May difetta di senso pratico. Barnier continua a offrire sponde, ma si prepara al peggio. “Restiamo aperti ad ogni soluzione, purché sia realizzabile e avanzata nei tempi giusti”, perché il tempo passa e c’è tempo fino a ottobre per avere un accordo che possa essere votato dai Parlamenti nazionali. “Dobbiamo essere pronti ad ogni possibilità, inclusa quella di un mancato accordo”.
Anche perché l’Europa è pronta a venire incontro a Londra, ma fino a un certo punto. “E’ il Regno Unito che va via dall’Ue, e perché dovrebbe essere l’Ue a rischiare di indebolirsi?”. Una riflessione che aiuta a capire quanto poco scontato sia la situazione. Se a questo si aggiunge che “devono essere ancora trovate soluzioni per le basi inglesi a Cipro e per Gibilterra”, la situazione appare davvero in alto mare. Come conferma, una volta di più, la difficile questione della frontiera tra le due Irlande, quella repubblicana e quella fedele alla Corona.
La Commissione europea ha proposto di tenere l’Ulster dentro l’Unione doganale in caso di mancato accordo, posizione ovviamente non accettabile dai britannici. Un modo per indurre il governo di Londra a mettere sul tavolo le proprie proposte in riguardo. Ma tra il Continente e il Paese d’oltre Manica va in scena un dialogo tra sordi. La premier britannica Theresa May sostiene che “è compito dell’Ue rispondere, per tornare indietro su posizioni che sono impraticabili ed evolverne la natura”. Barnier si limita a ricordare che “a marzo May si è detta d’accordo a rispettare l’accordo del venerdì santo in ogni sua parte, ed è tutto quello che posso dire”.
Londra aspetta Bruxelles, Bruxelles aspetta Londra. Il risultato sono ritardi e stallo nel negoziato. Sempre più prossimo al fallimento.