Bruxelles – A domande risponde, ma le domande a dire il vero non le aspetta, le anticipa. “Sto bene”. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, si presenta così alla sala stampa gremita per la conferenza da lui indetta per dimostrare i risultati dal piano per gli investimenti strategici. Prima ancora di passare in rassegna i dati, vuole rivolgersi a quanti, in questi giorni, hanno scritto di tutto e di più sul suo conto. Una volta di più conto gli viene chiesto a proposito di quanto accaduto al summit dei leader della Nato, dove Juncker è stato ripreso in condizioni che hanno portato tanti a parlare di problemi di alcol.
Il presidente dell’esecutivo comunitario Juncker ha il vizio della bottiglia? Se lo sono chiesti in molti, e quasi tutti hanno già offerto una risposta. La Commissione ha fin da subito parlato di sciatica. Il diretto interessato sa perfettamente che quasi tutti sono lì per ascoltare ben altro che i risultati del piano Juncker. Si è in sala stampa per ascoltare colui che al piano per gli investimenti ha dato il nome. Le domande sul suo stato fisico non sono poche. Juncker dapprima sostiene di “ridere di queste cose senza senso”, quindi risponde in modo chiaro quando gli viene chiesto se è corretto che non abbia bevuto alcol al massimo appuntamento politico dell’Alleanza atlantica. “E’ corretto mercoledì, è corretto questa mattina e sarà corretto questa sera”. Poi chiarisce di non gradire che si insista con delle insinuazioni ritenute eccessive. “Chiedo rispetto”.
Richiesta comprensibile, soprattutto se ci sono davvero motivi di salute come Juncker ammette. Durante il vertice Nato “ho avuto a che fare con la sciatica, avevo dolori, ma ho comunque partecipato al summit”. Una situazione certamente fastidiosa ma “non una ragione valida per dimettersi”. Juncker va avanti, deciso a portare a casa una legislatura più complicata del previsto. Un continente da far ripartire, una nuova crisi dell’euro con la Grecia, la Brexit. E poi ancora il deterioramento delle relazioni transatlantiche, l’avanzata dei populisti e le spinte sovraniste, il caso Selmayr e da ultime le accuse di alcolismo. La Commissione europea, e la figura del suo capo, appaiono ridimensionate di fronte alla aspettative e inadeguate di fronte alla risposte che si chiedevano a Bruxelles.
La conferenza stampa convocata da Juncker è l’occasione migliore per spazzare via ogni dubbio, almeno secondo le intenzioni sue e dei suoi servizi. Serve per dimostrare che è in salute, come lo è l’Ue. Annunciare pubblicamente che il piano per gli investimenti è stato un successo. Avrebbe dovuto mobilitare 315 miliardi di euro, ma dopo tre anni ne ha prodotti 335, 20 in più del previsto. E ha mantenuto la promessa di creare un milione posti di lavoro. Circa 750mila sono stati già stati attivati, ed entro il 2020 si prevede che questa cifra possa raggiungere quota 1,4 milioni. Numeri sciorinati per rendere merito ad una Commissione troppo bistrattata. Non a caso Juncker rivendica la chiusura dell’accordo commerciale con il Giappone. “Ne sono orgoglioso, perché molti dei miei colleghi mi avevano detto di lasciar stare perché tanto avrei fallito, e invece così non è stato”.
Ha ragione da vendere il lussemburghese, poiché proprio sul commercio l’Europa tende a smarrire il suo senso di unione. Juncker lo nega, dice “tutti gli sforzi per dividere gli europei sono vani” quando si parla di commercio. Sa di mentire, perché la vicenda del Ceta è lì a ricordare che non tutti condividono metodi e risultati negoziali, mentre la questione dei dazi statunitensi sull’export comunitario non passa inosservata. C’è la Germania decisa a difendere la propria industria automobilistica. Juncker proverà a farlo la prossima settimana, quando incontrerà a Washington il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.