Bruxelles – Gli eurodeputati e i funzionari degli organismi europei non possono maltrattare i loro dipendenti, nemmeno in situazioni stressanti, e le istituzioni Ue non possono imporre il silenzio alle vittime di molestie, ha stabilito il tribunale dell’Unione europea il 13 luglio.
Le sentenze riguardano i casi di due donne, un’assistente parlamentare al Parlamento europeo e un’impiegata della Banca europea degli investimenti, che hanno subito abusi verbali e psicologici da parte dei loro superiori, senza che le istituzioni per le quali lavoravano le assistessero in modo adeguato.
Il Tribunale, si legge nel verdetto dei giudici del Lussemburgo, “condanna il Parlamento europeo e la Bei a versare ciascuno 10.000 euro a titolo di risarcimento danni ad agenti vittime di molestie psicologiche” rimarcando “l’obbligo delle istituzioni di procedere in sede disciplinare qualora le molestie siano accertate”.
La prima donna, M.C. era l’assistente di un’eurodeputata, A.H., che, nel 2013, si era vista prima sciogliere il contratto anzitempo e poi negare assistenza da parte del Parlamento europeo, che aveva giudicato le umiliazioni e le minacce subite dalla donna – per le quali M.C. aveva chiesto aiuto – come la normale conseguenza di un clima lavorativo per sua natura stressante.
Il Parlamento, difatti, aveva stabilito che “sebbene l’utilizzo di un linguaggio duro sia di per sé deplorevole, al contempo sarebbe a volte stato difficile, nell’ambito lavorativo stressante connesso ai lavori parlamentari, astenersi dall’utilizzare un siffatto linguaggio”.
I giudici, tuttavia, hanno riconosciuto che, se da un lato “il comportamento dell’eurodeputata” “non può in alcun caso essere ritenuto un atteggiamento degno di un membro di un’istituzione dell’Unione”, dall’altro il Parlamento “ha commesso un errore di valutazione” nel “ritenere non abusivo il comportamento della deputata”.
L’addetta della Bei, invece, che ne aveva denunciato il nuovo direttore per averla sollevata senza motivo dal suo incarico, denigrandola e rivolgendole frasi aggressive, aveva ottenuto dalla banca un riconoscimento parziale della responsabilità del direttore e le scuse di questo, vincolate però all’obbligo di silenzio, anche tra i suoi prossimi, sui fatti avvenuti.
“La Bei ha adottato misure insufficienti e inappropriate rispetto alla gravità del caso” hanno tuttavia sentenziato i giudici. Inoltre la banca, si legge nella sentenza, non poteva in ogni caso “assegnare alla sua decisione e alla lettera di scuse del nuovo direttore un livello di riservatezza tale da vietare all’addetta di rivelare a terzi l’esistenza di tali documenti nonché il loro contenuto” perché questo sarebbe di fatto un impedimento alla messa in campo di un’azione legale contro la banca.
Il Parlamento e la Bei hanno adesso due mesi di tempo per impugnare la causa davanti alla Corte di giustizia dell’Ue.