Di Alessandro Bosco
Lo scorso 3 luglio si è celebrato il Plastic Bag Free Day. Ha tre anni la direttiva europea per limitare l’utilizzo di buste di plastica che oggi il 72% degli europei dichiara di usare meno (dati Eurobarometro).
La plastica è il materiale della nostra modernità: auto, elettrodomestici, cellulari, tv, cotton fioc. La lista potrebbe continuare all’infinito. Il suo utilizzo così diffuso è dovuto alle sue particolari proprietà: occorre una quantità di energia molto piccola per produrla e, ad esempio, grazie agli imballaggi di plastica siamo in grado di conservare cibo che altrimenti andrebbe perduto.
Oggi, però, non riusciamo a chiudere il circolo economico (produzione-consumo-riciclo-produzione) e la plastica è sempre più un problema per la tenuta ecologica del pianeta.
La quantità prodotta all’anno nel mondo è pari a 322 milioni di tonnellate di cui 8 finiscono negli oceani.
La plastica rappresenta l’85% dei rifiuti marini e dal 2050, secondo la Ellen McArthur Foundation, con questi ritmi potrebbe superare la quantità di pesci nei mari. Nel Mediterraneo ci sono 40 pezzi di rifiuti marini per chilometro quadrato.
Un altro enorme problema è la microplastica, presente nell’aria, nella terra e nelle acque. Negli oceani e nei mari la plastica si disintegra facilmente in pezzi minuscoli che vengono mangiati dal plankton, a sua volta poi mangiato dai pesci. Oltre a rappresentare un grosso pericolo per la biodiversità, la microplastica arriva fino alle nostre tavole e quindi fino ai nostri corpi, con conseguenze per la nostra salute non ancora studiate a sufficienza.
L’Unione europea ha continuato quindi il suo lavoro per affrontare questa grande sfida. Il 16 gennaio 2018 la Commissione europea ha approvato una nuova strategia d’azione. L’obiettivo è di rendere riciclabili entro il 2030 tutti gli imballaggi di plastica, stimolando così (anche attraverso un apposito fondo) l’innovazione nel settore. Nel 2014 nell’Unione meno del 40% degli imballaggi di plastica sono stati riciclati.
L’ultima tappa del percorso è lo scorso 28 maggio. Così in un comunicato stampa si esprimeva la Commissione europea:
Di fronte al costante aumento dei rifiuti di plastica negli oceani e nei mari e ai danni che ne conseguono, la Commissione europea propone nuove norme di portata unionale per i 10 prodotti di plastica monouso che più inquinano le spiagge e i mari d’Europa e per gli attrezzi da pesca perduti e abbandonati.
Questi prodotti, da soli, rappresentano il 70% dei rifiuti marini. Sarà vietata la vendita solo dei prodotti per i quali esistono già valide alternative (bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, mescolatori per bevande, aste per palloncini). Per gli altri si lavorerà per limitarne l’utilizzo (sono anche previsti incentivi per la produzione di prodotti alternativi). Ai produttori verrà richiesto, inoltre, di rispettare particolari standard di progettazione.
Secondo la Commissione, le nuove norme stimoleranno la competitività delle imprese europee nel mercato mondiale. L’Europa è la prima a introdurre normative di questo genere, in un mercato come quello dei prodotti sostenibili in piena espansione. Le imprese potranno accumulare un vantaggio tecnologico importante e abbattere i costi di produzione.
Le nuove proposte ora dovranno passare al vaglio del Parlamento e del Consiglio a cui la Commissione ha chiesto di agire in via prioritaria entro maggio 2019.
Le istituzioni europee stanno assumendo una serie di iniziative che garantiscano all’Europa e ai suoi cittadini un futuro sostenibile. Come cittadini, però, abbiamo la grande responsabilità di alimentare un processo uguale e inverso, dal basso verso l’alto. Allo stimolo economico degli incentivi e delle prospettive di guadagno nel settore, dobbiamo affiancare un ritrovato senso civico, dobbiamo affiancare una visione del mondo che vogliamo domani, una visione in grado di ispirare la nostra azione quotidiana.
Da questo punto di vista, le esperienze di alcuni Comuni virtuosi potrebbero rappresentare un ottimo punto di partenza.