I conflitti, spesso, divampano per motivi economici. Spesso divampano quando salta un equilibrio, quando un paese, o un gruppo di Paesi, si sente penalizzato da una situazione che ritiene svantaggiosa. Divampano quando vengono meno la collaborazione e il dialogo. Divampano quando uno crede di essere più forte di un altro, e spesso lo ha ritenuto a torto, tra l’altro.
Negli scorsi anni, in vista del sessantesimo compleanno dell’Unione europea celebrato nel marzo 2017 a Roma, molti leader europei hanno insistito su un grande risultato portato dall’Ue: la pace. Per la prima volta per tanti decenni di seguito gli europei non si sono più combattuti militarmente tra loro. Ci sono stati scontri in Europa, ad esempio nella ex Jugoslavia, ma ciò avvenne prima che alcuni dei Paesi che si sono formati dopo la sua fine entrassero nell’Unione.
Questo risultato, indiscutibile, è stato preso però molto sotto gamba. Si diceva che per i più giovani, per quelli nati dopo il 1945, la guerra è stata solo un racconto dei padri, e poi col passare del tempo dei nonni, e poi non è stata più raccontata ai più giovani, perché (quasi) nessuno ne è più testimone.
La questione andrebbe ora ripresa e rianalizzata.
Quello che sta succedendo attorno a noi può essere prodromo di qualcosa che abbiamo letto solo nei libri o visto in tv o, pericolosamente, giocato su qualche schermo, dove se muori poi facilmente rinasci, dove la guerra diventa un gioco, che forse fa credere che sia solo quello il grande macello. Che invece non è, perché la guerra esiste: si muore, si soffre, ci si impoverisce.
Con grande naturalezza tutti abbiamo battezzato come “guerra commerciale” quella che ha scatenato il miope presidente degli Stati Uniti contro la Cina, l’Unione europea, la Russia ed anche qualche altro Paese a suo piacere esclusivo. L’Europa e la Russia, dopo l’invasione armata e l’annessione della Crimea, sono anch’esse ai ferri corti commerciali.
Sembra non esserci più un dialogo, presto non ci sarà più un equilibrio, la collaborazione sta già saltando. E le condizioni economiche di tutti gli attori in campo, al di là delle responsabilità, stanno peggiorando. Le previsioni sono cattive per gli Usa, vedono un grande affanno per l’Europa, la Russia fatica sempre più. Anche la Cina ha rallentato la crescita (cosa in parte inevitabile) e la rallenterà ancora.
Le tensioni sulle frontiere europee (non “alle” ma “sulle”, cioè tensioni inventate da politici opportunisti e irresponsabili) aggiungono un elemento di instabilità pesante in Europa, perché la questione non è che stanno affermandosi forze di destra, il che andrebbe anche bene, ma che si stanno affermando forze nazionaliste e scioviniste, tutte d’accordo a scalzare i vecchi partiti, e questo potrebbe anche essere un sano rinnovamento, ma poi in inevitabile disaccordo su tutto il resto, poiché i nazionalisti, per loro natura, non possono collaborare tra loro, tesi come sono a valorizzare una presunta superiorità del loro popolo sugli altri. E se ognuno pensa di essere superiore o di avere diritti che vengono prima di chiunque altro è evidente che per difendere questo dogma prima o poi si scontrerà, per uno dei mille motivi possibili, con un suo vicino.
Stiamo attenti, non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. La possibilità di una guerra ora pare lontana, ma i semi sono tutti vivi, e “semplici”.