Bruxelles – Quello migratorio più che un problema di per sé, che c’è ed è innegabile, è soprattutto un problema politico, anche questo innegabile. “’Non nel mio giardino’ è l’unica cosa su cui tutti sono d’accordo”. Lo urla in Aula a Strasburgo il capogruppo dei liberali europei (Alde), Guy Verhofstadt, nel corso di una sessione plenaria intenta a discutere le priorità della presidenza austriaca del Consiglio Ue e i punti sull’immigrazione. Qui accordi veri non si vedono né si intravedono. “Stiamo vivendo una crisi politica sulle spalle dei migranti, non stiamo vivendo una crisi di migranti”. Verhofstadt ricorda che nel 2015, nel momento della crisi vera, gli arrivi furono 216.260 mentre oggi il numero di persone sbarcate sul territorio Ue si è ridotto del 95%.
Sebastian Kurz, cancelliere austriaco responsabile dei lavori in Europa da qui a fine anno, sull’immigrazione l’unica cosa che può promettere è un vago impegno a lavorare insieme per cercare soluzioni condivise. Nella pratica tutto si tradurrà in una linea intransigente e non tale da rispondere alle esigenze italiane. Nessuna solidarietà, nessuna responsabilità condivisa. “Mettere in sicurezza le frontiere esterne” è l’imperativo categorico degli austriaci, pronti a far saltare Schengen e la libera circolazione. “Se le cose sono gestite come capiamo, sarà la Germania ad adottare misure nazionali e altri paesi, come l’Austria, ovviamente reagiranno di conseguenza”.
Ogni riferimento ad una possibile chiusura delle frontiere tedesche non è casuale. Così come non è casuale il riferimento temporale. “Posso promettervi che lotteremo per garantire che a medio e lungo termine ci sarà un’Europa senza frontiere interne con una frontiera esterna decente”. Medio e lungo termine non è ora né il breve periodo. Se le frontiere si chiudono si lavorerà per riaprirle, ma nel frattempo l’Ue cesserebbe di essere perché senza più i suoi presupposti di libera circolazione. Esattamente quello che non vuole la Commissione europea. Il suo presidente, Jean-Claude Juncker, si dice pronto a lavorare con la presidenza austriaca per “rafforzare le frontiere esterne dell’Ue”. Di fronte alle divisioni nazionali si capisce che questo è l’ultimo modo per cercare di salvare la tenuta di un’Europa mai così instabile.
Il dibattito dell’Aula offre l’immagine delle diverse anime che agitano Europa ed europei. I toni oltre le soglie di decibel normalmente consentite ben offrono il clima di scontro che permea l’Unione. Verhofstad se la prende con esponenti di spicco del governo italiano. “Non stiamo parlando di flussi di persone che attraversano il Mediterraneo, ma di decisioni opportunistiche di un ministro degli Interni. In Italia Matteo Salvini sta creando il problema che adesso è sul tavolo”.
Il capogruppo dei Popolari (Ppe), Manfred Weber, punta il dito contro “gli egoismi nazionali”. Dimentica forse gli egoismi meno nazionali e più locali del suo partito, il Csu, che sta tenendo in scacco Angela Merkel e con lei l’Europa tutta. Ringrazia la presidenza uscente del Consiglio Ue per l’ottimo lavoro svolto. Potrebbe Weber criticare l’operato di Boyko Borissov, membro del Ppe? Sostiene, sempre Weber, che il suo amico Borissov, abbia “rafforzato” l’Europa in questi sei mesi in cui invece l’Ue si è perduta sempre di più. E’ lo specchio di un Ppe sempre più opaco e in crisi, che prova a tenere il punto ma senza risultare più credibile.
Nigel Farage è un altro rappresentante di una parte dell’opinione pubblica. Può piacere o dispiacere, ma pone comunque – sia pure con toni provocatori – questioni dibattute dai cittadini, dalla ‘pancia’ degli Stati membri. “La modifica del regolamento di Dublino è un qualcosa che nessuno sta chiedendo”. Attacca platealmente Juncker, ritenuto responsabile della situazione attuale, e avverte: la fortezza Europa sta crollando. “Le Nazioni vogliono essere responsabili delle proprie azioni, non pagare gli errori altrui. Credo che le elezioni italiani dimostrino questo”.
Le elezioni del marzo scorso hanno portato al governo 5Stelle-Lega. La Lega nord in Parlamento europeo siede col partito dell’ultra-destra austriaca Fpo, ora nella coalizione dello stesso governo austriaco pronto a lasciar solo l’Italia sull’immigrazione. Un boccone amaro per la Lega, che si scopre abbandonata (forse tradita?) da quelli che pensava amici.